Intervista a Luigi Romolo Carrino: quando la scrittura è passione pura
Lo scrittore di Palma Campania, autore de “La buona legge di Mariasole”, svela le fonti della sua ispirazione, raccontandosi ai suoi lettori
Luigi Romolo Carrino, classe 1968, è uno scrittore campano di grande talento. Laureato in informatica e specializzato in Problem Solving e Ingegneria del Software, la sua passione più forte è stata sempre la scrittura. Dal 25 marzo è nuovamente tra gli scaffali delle librerie italiane con il suo ultimo romanzo “La buona legge di Mariasole” (Edizioni e/o). Questo romanzo conferma la vivacità letteraria dell’autore, che, con l’estro tipico di un grande cultore della lingua italiana, nella protagonista innesta le caratteristiche di una vedova innamorata e di una madre protettiva ed amorevole con la ferocia e la freddezza di una donna di camorra. Con la stessa genuinità tipica della sua scrittura, Luigi racconta se stesso e la sua verace passione per la letteratura ai lettori di Irpinia24.
Il tuo ultimo romanzo “La buona legge di Mariasole” (2015 – Edizioni e/o) inizia la narrazione dalla conclusione del tuo Romanzo di esordio “Acqua Storta” (2008 – Meridiano Zero). Cosa ti ha spinto dopo 7 anni a questo ritorno dei Simonetti/Farnesini?
Abbiamo lavorato – con altri artisti – parecchio intorno al mio primo romanzo, tra recital, graphic novel, radiodramma, sceneggiature… Quindi la figura di Mariasole si è andata negli anni delineando in modo preciso e tosto, direi netto. Avevo una bella storia in mente e quindi mi è sembrato il momento giusto per raccontarla. Non sono uno che segue mode letterarie né ascolta i desiderata degli editori. Scrivo quello che voglio, come voglio, e quando voglio. Poi, se lo vogliono publicare mi fa piacere. In caso contrario, me lo tengo.
Per scrivere un libro come il tuo è necessario un denso lavoro di ricerca, soprattutto nella cronaca. Quali sono state le fonti principali e più preziose per te?
Vivere in un territorio come l’Agro Nolano è già di per sé fonte di ispirazione. Poi c’è anche il lavoro di tanta gente che mi ispira, come quello di Gigi Di Fiore o Rosaria Capacchione, giornalisti capaci e onesti intellettualmente. Eccezionali. E poi, tanto per essere chiari, io non sono nato in una famiglia nobile e possidente, né borghese e riccamente assestata sui propri averi. Quindi, in mezzo alla strada ci sono stato eccome. E questo insegna molto.
Il matriarcato camorristico è una realtà che si va sempre più conoscendo e Mariasole incarna la fierezza e la ferocia di un capoclan ma anche la cura e la preoccupazione di una madre che vuole proteggere quel che resta della sua famiglia. Come si conciliano queste due anime in Mariasole, ma nelle donne di camorra in generale?
Gli uomini considerano l’altro sesso come ‘femmine’ nel senso antropologico del termine. Ma prima di essere qualcosa di umano, le donne di camorra possono essere anche madri. E una madre è un’altra cosa. Ho cercato, ne La buona legge di Mariasole, di conciliare queste due caratteristiche in una donna, cosa difficile e piena di contraddizioni. Mariasole è quello che diventa perché vuole salvare suo figlio da un destino già scritto, da una sorte che lo vede erede dell’impero camorristico. L’unico modo per farlo, almeno questo è quello che lei capisce, è diventare potente per poter decidere quello che spetta di vivere a suo figlio.
Le tue narrazioni danno spesso voce a storie ai margini della società, da “Acqua storta” a “Pozzoromolo” a “Esercizi sulla madre”, per citare solo alcuni dei tuoi capolavori. Non credo, però, si possa parlare di sfondo sociale, quanto più di uno strumento utilizzato per raccontare la ricerca del sé da parte dei protagonisti, superando le rigidità di sistemi che impediscono loro di esprimere la propria natura. Sei d’accordo?
Oddio, capolavori… Non saprei, anche se mi interessa cosa pensa il lettore della qualità di quello che scrivo. Però sì, spesso scelgo di inserire i miei personaggi in contesti dalle condizioni disagiate, sia dal punto di vista ambientale sia sociologico. Soltanto quando si entra in ‘crisi’ c’è la possibilità di conoscersi davvero. Se uno sta bene nulla lo spinge a cambiare le cose fuori e men che meno dentro di sé. La gabbia, il ‘cubo’ dove siamo a volte costretti a vivere può determinare questa crisi. Almeno, me lo auguro.
I tuoi romanzi, e “La buona legge di Mariasole” ne è l’ultima conferma, si caratterizzano per uno stile ibrido, che ormai considero la tua cifra distintiva. Infatti, riesci a fondere con sapienza ed eleganza un linguaggio ricercato, aulico a tratti lirico con infantilismi ed espressioni dialettali, che rendono le parole concrete e forti, a volte vere ferite sanguinanti. È frutto di un talento naturale o di studio ed esercizio continuo?
Talento un c…o! E scusa il francese. Mi faccio un mazzo tanto dalla mattina alla sera per trovare questa cifra stilistica che – per carità! – può piacere o meno. Il talento sta nell’aver intuito che ci può essere un modo altro di raccontare una geografia usando la sua stessa mappa alfabetica. Ma a questo ci possono arrivare in tanti. E tanti ci sono arrivati con risultati più o meno soddisfacenti. Il resto è lavoro continuo, ore e ore per decidere un dialogo. Un’espressione. Un modo di dire. Una fusione. Una napo-italianità. Per me – almeno per me – non è facilissimo. C’è tanto lavoro dietro. C’è tanto ascolto. Nei vicoli, nell’hinterland, dai venditori ambulanti e dalla gente che non sta proprio messa bene economicamente, dalla gente di merda, da quelli impiegati in banca e credono di essere meglio di altri. Eh… Tanta roba per non togliermi la mia amata geografia dal suono.
A proposito di studio, cosa pensi delle scuole e dei corsi di scrittura creativa, che imperversano in tutta Italia? Sono, a tuo parere , strumenti utili per aspiranti scrittori?
Tutto il male possibile. Il talento non si insegna. Il mestiere sì. Tuttavia, credo ce ne siano già troppi di mestieranti in libreria. Un po’ di spazio – ma poco, mica tanto – lo potrebbero lasciare agli ‘scrittori’ e alla letteratura. Che ne dici? Si può fare?
Chiudo con la domanda di rito sui prossimi lavori. Ti rivedremo presto sugli scaffali delle librerie e di che argomenti tratterai?
Non so quanto presto. Sto ultimando un romanzo ambientato a Procida e parte dagli anni ’60. È la storia di un rapporto speciale tra la janara Rosina e Salvo, un ragazzo dalle doti particolari, con capacità telecinetiche e un’idea tutta sua dell’universo. È un romanzo che parla di comunicazione, di linguaggio, di come si possa capire la parola del mondo, della natura, passando attraverso alfabeti fatti non soltanto di lettere che conosciamo, e parla della fisica e della matematica presente naturalmente nelle cose del mondo. Dovrebbe chiamarsi “Era di maggio”, ma non so, forse lo intitolerò “Non è di maggio”. In fondo, i due titoli, fanno un po’ Yin e un po’ Yang… (tra Di giacomo e Pasolini… vabbè, perdonatemi).
di Davide MARENA