Contro il potere: dialogo con Giacomo Marramao, filosofo

giacomo marramao_filosofo“Da quando abbiamo affidato alle macchine il compito di predire il nostro futuro, le profezie hanno perso ogni valore. Quanto più ci separiamo da noi stessi, quanto più ci consegniamo a istanze senza vita, tanto meno riusciamo a padroneggiare quello che accade. Il nostro crescente potere su tutto, su ciò che è vivente e ciò che non lo è, e in special modo sui nostri simili, si è trasformato in un contropotere che solo in apparenza riusciamo a controllare”.

A partire da questo riferimento essenziale Massa e potere, opera di Elias Canetti, con Giacomo Marramao – filosofo e docente di Filosofia Teoretica e Filosofia Politica a Roma Tre – cerchiamo di ripercorrere la genealogia del Potere, dalle sue scaturigini sino alle sue derivazioni più estreme: parliamo di potere simbolico e di potere reale. Quel potere che si insinua oramai in ogni agire quotidiano e rende ciascuno sempre più desideroso di possedere oggetti, cose, persone. O anche pensieri, parole, azioni altrui.

Sembra ormai che ognuno – qualunque sia la sfera socio/economica di appartenenza – abbia la velleità di conquistarne una piccola fetta, quasi fosse a suggello della propria esistenza. Parliamo di un potere pervasivo, sottile. Che si declina in cangianti, molteplici e seduttive forme di agire: ormai, poco o nulla, può sfuggire alla suggestione del suo abbraccio!

Prof. Marramao: lei è uno dei massimi esperti e studiosi di genealogia del potere. Come spiega questa attrazione – a volte fatale – per un potere che acceca, che impera e – nei suoi frequenti deliri di onnipotenza – distrugge?

“Io penso che il potere sia eterno. Nel senso che la desiderabilità del potere è ancestrale, connaturata all’essere umano: una pulsionalità originaria, che consiste nel timore della Morte e della “contaminazione” con l’altro, come sostiene Canetti.

Il meccanismo generatore del potere è da ricercarsi nella logica identitaria portata alle sue estreme conseguenze. Oggi vige una ossessione identitaria: un’idea per la quale la mia identità diviene più potente, quanto io più riesco a provocare la morte fisica o la mortificazione dell’altro. L’altro diviene una minaccia e la sua mortificazione è fonte di vita per me.

Il potere – quindi – non è più soltanto quello che si pratica nelle Istituzioni, nella Società, nel sistema di Formazione e di Istruzione: il problema vero è che esso è “emigrato”, per così dire, dalle strutture classiche ed è ora in mano ai gruppi che operano all’interno dell’economia e della finanza globale!”

In che senso?

“Nel senso che il potere è sempre più sganciato sia dal controllo dei singoli stati, sia dal controllo dei diritti internazionali e dallo stesso sistema democratico: il “mercato”, l’economia sono la location, il medium, il palcoscenico dove esercitare “il potere selvaggio del globale”!

Il capitalismo attuale si comporta in modo parassitario e speculativo, annullando la potenzialità di chi è costretto a soggiacervi. In realtà, la dinamica del potere pone perennemente il problema di un’eccedenza di senso, che deve di volta in volta tradursi in un sistema di segni.

E’ da questa polarità, dalla sua insolubile tensione, che trae origine la segreta logica che presiede a tutti i miti di fondazione: la mitologia di una fonte unica e “sovrana” del potere. Ed è, conseguentemente, dallo scollamento dei due poli dell’augurium/augmentum/aucotoritas e del regnum/regere potestativo, che si produce sempre quella che chiamiamo crisi di legittimità di un ordinamento o di un regime politico. E la crisi oggi investe anche la forma democratica, come è attestato dalla ribellione populistico mediatica, contro il liberalismo procedurale”

Come è possibile sradicare queste forme estreme di potere?

“Per fronteggiarle vi è un solo modo: interrogarsi ancora una volta sulla “essenza” e sul “valore” (da cui in ultima analisi dipendono anche le sue regole e le sue tecniche) dell’auctoritas. Verificare, se e dove, essa rechi ancora in sé una riserva simbolica, un’augurale ridondanza di senso, che i suoi attuali segni codificati non sono più in grado di trasmettere. Occorre uno spostamento del fuoco dall’analisi dei meccanismi del potere alla potenza dei soggetti, passando per una radicale ridefinizione dei rapporti interni alla triade reale – immaginario-dimbolico. Per una riproposta dell’auctoritas, non più come fonte verticale di legittimazione della potestas, ma come energia orizzontale, che si sprigiona – contro i cristalli di potere – dal tessuto relazional-conflittuale dell’esperienza.

In altri termini: occorre una riabilitazione dell’autorità (auctoritas. Un incremento di senso. Bisogna che noi diveniamo “autori”, capaci cioè di produrre un “di più”, un’eccedenza di senso capace di superare l’ormai intollerabile forbice, il baratro che si è aperto tra il potere e l’autorità. Oggi il potere è esercitato senza autorità, cioè senza energia, senza donazione di senso.

E’ necessario che la comunicazione umana superi quegli elementi di potere e di manipolazione ingeniti in sé stessa e che continuano a direzionare i destini delle comunità umane: per fare ciò, occorre sostituire la Vita alla Morte, ossia, riappropriarsi dell’esperienza, del potenziale immanente alle forme di vita concreta. Mettendo dunque in discussione, nelle relazioni sociali e dentro noi stessi, l’universale reificazione del mondo e dei rapporti di cui si alimenta la logica del potere globale.

Purtroppo, il potere non può essere soppresso. Deve perciò essere sradicato e sovvertito, spostando il focus sui soggetti, staccandosi dal rumore dell’attualità e riprendendo il filo interrotto di opere solitarie ed estreme”.

di Raffaella Luise