Irpinia e Sannio, il prezzo della distanza

Lavoro stabile ma disoccupazione giovanile, spopolamento e turismo ai margini

catauro8L’Irpinia e il Sannio non sono nati periferia. Lo sono diventati, lentamente, a colpi di occasioni mancate, infrastrutture rimandate, investimenti spezzati dalla burocrazia. Oggi, l’“interno” della Campania è il luogo dove i numeri dell’economia parlano sottovoce e i grafici non bastano a raccontare cosa c’è dietro, in evidenza ci sono serrande che si abbassano per sempre, ragazzi che partono, imprese che fanno i conti con mercati lontani e strade che restano tali solo sulla carta. È da questa fotografia, scomoda ma necessaria, che parte l’Osservatorio Economico di Unimpresa Irpinia Sannio, guidato dal presidente Ignazio Catauro, per mettere in fila, con rigore, luci e ombre per proporre una rotta possibile.

Nell’anno passato la Campania ha venduto all’estero merci per circa 21,66 miliardi di euro. Dietro questa cifra regionale, che fotografa il peso complessivo dell’export, si nasconde la parte che spetta alle aree interne: una fetta tutt’altro che irrilevante, ma ancora lontana dai grandi poli costieri. Secondo le stime elaborate da SACE sulle quote provinciali, Avellino vale circa l’8% di quel totale, mentre Benevento si ferma attorno al 2%. Tradotto in volumi, significa che nel 2024 l’Irpinia avrebbe esportato intorno a 1,73 miliardi di euro, il Sannio circa 430 milioni.

Numeri che, pur indicativi, vanno maneggiati con cautela, sono proiezioni, non dati ufficiali, e attendono la verifica delle tavole provinciali ISTAT–Coeweb, che forniranno il valore reale dell’export e dell’import su base annua, il saldo commerciale e il confronto con il 2023. Solo allora sarà possibile dire con precisione quanto le due province abbiano realmente venduto e comprato sui mercati internazionali, e quali settori e Paesi trainino o frenino la loro bilancia commerciale. Ma il dato definitivo si prevede in linea con quanto stimato.

Sullo sfondo, due specializzazioni, in Irpinia la componentistica per l’automotive e l’agroalimentare; nel Sannio l’agro di qualità e l’artigianato evoluto. Filiere che funzionano quando la domanda c’è e gli input arrivano in tempo; che si inceppano subito se le merci restano bloccate tra un viadotto e un collo di bottiglia amministrativo.

La tenuta o la fragilità di un’economia si misura anche dal respiro del suo tessuto produttivo. Qui l’Osservatorio deposita un giudizio senza aggettivi superflui, che evidenzia come Avellino chiude il 2024 con un saldo +27 imprese (1.947 iscrizioni contro 1.920 cessazioni), un +0,1% che è una stabilità preziosa ma non un successo. Benevento, invece, perde terreno, -161 imprese (1.304 iscrizioni, 1.465 cessazioni), -0,5%. In controluce, il calo si concentra dove fa più male perché riguarda microimprese e ditte individuali, quelle che disegnano la geografia minuta dei paesi, dei capannoni di provincia, dei laboratori che formano apprendisti e non solo conti economici.

“Nel Sannio e nell’Irpinia – insiste Catauro – il nodo è il ricambio generazionale. Chi esce non trova chi entra. Il credito costa, la burocrazia pesa, i margini sono sottili. Senza un pacchetto integrato per start-up e subentri, e parliamo di incentivi veri, tutoraggio, sportelli unici che funzionano, continueremo a vedere un’emorragia silenziosa di attività”. Il “verbo” è scelto con cura, emorragia. Perché ogni chiusura non vale un segno meno sul registro imprese; vale un pezzo di filiera che si indebolisce, un fornitore in meno, un giovane che rinuncia. Il mercato del lavoro conferma la sensazione, disoccupazione al 9,0% in provincia di Avellino e 8,7% nel Beneventano (medie annue 2024).

In Irpinia il tasso di disoccupazione giovanile vale circa il 33% della fascia 15-24 anni. I cosiddetti giovani NEET sono oltre 4.000, quella fascia 15-34 anni che non risulta né occupata, né iscritta a percorsi di studio o formazione. In provincia di Avellino la crisi ha colpito in particolare i settori produttivi tradizionali, con poche eccezioni nell’agroalimentare industriale.

Per il beneventano i dati Istat riferiti a dicembre 2024 indicano una situazione leggermente meno grave rispetto ad Avellino, ma comunque preoccupante. Il tasso di disoccupazione giovanile (under 25) è del 19,4%, in lieve calo rispetto alla media dell’anno precedente. Un calo attribuito a una riduzione degli inattivi e a una leggera ripresa dell’occupazione tra i giovani, ma resta uno dei tassi più alti in Campania. Mentre la fascia 15–34 anni ha comunque registrato una contrazione dell’occupazione su base annua, segno di una persistente difficoltà nell’ingresso stabile nel mondo del lavoro.

Non sono i picchi degli anni peggiori, ma non c’è neppure inversione strutturale. Le posizioni qualificate scarseggiano, i servizi avanzati sono pochi, e la partita delle competenze, che poi vuol dire il salto che passa per digitale, meccatronica, green skills, è appena iniziata. “Senza ITS forti e senza una vera alleanza scuola-impresa – avverte il presidente Unimpresa Irpinia Sannio – alimentiamo un paradosso, dove troviamo imprese che cercano profili e non li trovano, e giovani che partono perché qui quei profili non li possono diventare”.

Poi c’è la demografia, che non perdona le narrazioni consolatorie. Benevento conta 259.648 residenti all’inizio del 2025; la curva è in discesa da anni. Avellino segue la stessa pendenza, 396.973 i residenti al primo gennaio 2025. È l’elefante nella stanza che vede meno persone e che significa meno domanda interna, meno imprenditori potenziali, meno servizi. E meno servizi significa, a sua volta, meno attrattività per chi vorrebbe restare o tornare. Un circuito vizioso che non si spezza con uno slogan. “Lo spopolamento – dice Catauro – non è un destino. È una conseguenza. Se rendiamo più facile vivere e lavorare qui, le persone restano. Ma questo richiede scelte, che vuol dire trasporti affidabili, sanità territoriale, banda larga reale, non annunci”.

Anche il turismo racconta la stessa sproporzione tra potenziale e risultati. Il 2024 è stato un anno record per l’Italia (458,4 milioni di presenze), ma Irpinia e Sannio restano ai margini dei flussi principali. Gli ultimi consolidati provinciali parlano chiaro, Avellino 106 mila arrivi e 290 mila presenze, Benevento 51 mila arrivi e 106 mila presenze. Un puntino nella mappa campana dominata da Napoli, costiera, grandi attrattori. Eppure qui ci sono cantine e vigne di rango, borghi intatti, cammini lenti, parchi, santuari e acque termali. Manca la regia, cioè pacchetti integrati, promo unitaria, standard di accoglienza, canali commerciali, e manca la rete tra operatori. “Se restiamo isole, resteremo invisibili – sintetizza il presidente Ignazio Catauro –. Dobbiamo vendere il territorio come prodotto, non sommare singole offerte”.

Il punto, a ben vedere, è che tutti i nodi si tengono. L’export soffre se la logistica è debole; le imprese faticano se il credito e la burocrazia frenano; i giovani partono se il lavoro qualificato non cresce; il turismo non decolla se la politica di marketing territoriale è inesistente. E viceversa ogni miglioramento sistemico, ossia una strada che si apre, un polo formativo che funziona, un distretto che innova, tende inevitabilmente a moltiplicare gli effetti lungo la catena. È questa la scommessa che Unimpresa Irpinia Sannio mette sul tavolo dei decisori pubblici, quella di una strategia integrata, non l’ennesimo elenco di capitoli di spesa.

Le proposte sono note ma mai praticate fino in fondo, esse riguardano infrastrutture (non nuove promesse, ma cantieri che chiudono), semplificazione (sportelli unici che rispondono in tempi certi), credito (linee dedicate per start-up e subentri, con garanzie reali), filiere (consorzi per export e acquisti, marchi d’area, internazionalizzazione “assistita”), formazione (ITS con imprese in aula e in laboratorio), turismo (prodotto esperienziale unificato, promozione fuori regione, accordi con grandi piattaforme), digitale e green (voucher per transizione tecnologica ed energetica).

Catauro lo dice senza giri di parole: “Non ci arrenderemo all’idea che queste terre siano condannate alla marginalità. Chiediamo responsabilità, regole amiche delle imprese, strumenti che aiutino chi vuole investire. Noi ci siamo, nel nostro piccolo mettiamo a disposizione dell’intero territorio l’Osservatorio, i nostri servizi, le reti con cui lavoriamo. Ma serve che ognuno faccia la sua parte, adesso, altrimenti sarà troppo tardi”.

L’inchiesta, perché di questo si tratta, quando si incrociano numeri e vissuti, lascia sul tavolo un bivio chiaro. Da una parte, la continuità di un declino lento, non spettacolare, ma inesorabile; dall’altra, la fatica organizzata di un rilancio possibile. L’Irpinia e il Sannio hanno già dimostrato di saper resistere. Ora devono dimostrare di saper ripartire. Non con un colpo di fortuna, ma con una serie di passi coerenti. L’anno passato chiude i conti, non il discorso. Quello, per chi crede che l’interno possa tornare centro, è appena cominciato.

Source: www.irpinia24.it