Ordinanze comunali e regolamenti locali
Un freno allo sviluppo economico, sociale e culturale delle città italiane
«Siamo arrivati al paradosso: per un bar aperto fino alle 23 serve un permesso diverso da un marciapiede all’altro. Così le imprese non possono lavorare, e le città perdono vita, sicurezza, economia». A lanciare l’allarme è Carlos A. Sorrentino, Segretario Generale della Confederazione Imprese Italia, intervenendo sull’ennesima ordinanza restrittiva emessa da un Comune italiano ai danni di bar, ristoranti e locali notturni.
Il quadro che emerge dai territori è preoccupante: negli ultimi 12 mesi, l’80% dei pubblici esercizi ha subito almeno una restrizione legata a regolamenti comunali, con effetti diretti sulla libertà d’impresa e sull’occupazione. Le misure più diffuse? Orari anticipati di chiusura, divieti di musica, limiti all’uso dei dehors, e una mole crescente di burocrazia per ottenere autorizzazioni e rinnovi, spesso temporanei e onerosi.
Secondo i dati raccolti dalla Confederazione e da enti di categoria, il 45% delle imprese segnala che tali restrizioni hanno prodotto un calo netto di fatturato tra il 15% e il 25%. A questo si aggiunge una spesa media di 1.800 euro all’anno in costi accessori per autorizzazioni comunali, imposte di occupazione suolo pubblico, adeguamenti igienico-sanitari e pratiche multiple.
«Ciò che chiediamo non è libertà assoluta, ma equilibrio e certezza», sottolinea Sorrentino. «Non può essere che ogni Comune inventi la sua regola, creando insicurezza normativa, conflitti con i residenti, e una cronica difficoltà di programmazione per chi lavora. Le imprese non sono il problema: sono parte della soluzione».