Invalidità, integrazione al minimo anche ai contributivi
Tutela anche per chi ha l’AOI senza accesso all’integrazione minima finora esclusa
Con la sentenza n. 94 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 1, comma 16, della legge 335 del 1995 (Riforma Dini), nella parte in cui escludeva l’assegno ordinario di invalidità dal diritto all’integrazione al minimo, se calcolato interamente con il sistema contributivo. Si tratta di una decisione importante per tutti i cittadini invalidi che percepiscono un assegno molto basso, senza possibilità di accedere a un’integrazione che possa permettere loro di raggiungere una soglia minima di sostentamento economico. Per dare un contesto, si ricorda che l’assegno ordinario di invalidità (AOI) è una prestazione erogata dall’INPS ai lavoratori che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, vede diminuita a meno di un terzo la sua capacità di prestare un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini. Non è una pensione definitiva, ma un sostegno temporaneo (dura 3 anni) rinnovabile, che può trasformarsi in pensione di invalidità o di vecchiaia una volta raggiunti i requisiti. Fino ad oggi, chi riceveva questo assegno calcolato con il sistema contributivo puro, introdotto dalla riforma Dini del 1995, non poteva beneficiare dell’integrazione al minimo, lasciando molti invalidi con trattamenti economici insufficienti a garantire una vita dignitosa. Ne deriva che, senza l’integrazione al minimo, chi percepisce un assegno contributivo molto basso e non ha altre fonti di sostegno (invalidità civile, assegno unico, redditi familiari, ecc.) rischia di vivere in condizioni di povertà prima di arrivare all’età per ricevere l’assegno sociale. La Corte ha stabilito che l’esclusione dell’assegno ordinario di invalidità dall’integrazione al minimo viola i principi costituzionali di uguaglianza e tutela dei più deboli (articoli 3 e 38 della Costituzione). Con la sua sentenza la Corte Costituzionale rafforza il riconoscimento del fatto che l’invalidità lavorativa non può essere trattata solo come una questione previdenziale basata sui contributi versati, ma richiede una protezione sociale adeguata, capace di garantire mezzi di sussistenza dignitosi anche a chi ha avuto carriere discontinue o brevi a causa di problemi di salute. In pratica, anche chi percepisce l’AOI calcolato interamente con il sistema contributivo avrà diritto a un’integrazione che garantisca un livello minimo di reddito, finanziata dalla fiscalità generale e non dai contributi previdenziali. Tra le sue motivazioni:
- il fatto che l’assegno ordinario di invalidità tutela persone che, pur non essendo in età da pensione, hanno una riduzione grave della capacità lavorativa e quindi non riescono a mantenersi economicamente.
- non è una normale pensione, ma una misura di protezione contro la perdita della capacità lavorativa.
- storicamente è sempre stato trattato in modo più favorevole rispetto ad altre prestazioni previdenziali, con una integrazione finanziata dalla fiscalità generale, e non dai contributi previdenziali.
Con questa sentenza, d’ora in avanti l’assegno ordinario di invalidità non potrà più essere inferiore al minimo vitale stabilito dalla legge, anche se calcolato col sistema contributivo. Nel concreto:
- le persone invalide che non hanno raggiunto ancora l’età per l’assegno sociale (67 anni) potranno contare su un sostegno adeguato;
- chi non ha diritto all’invalidità civile, o non può accedere ad altri aiuti (come assegno unico o assegno di inclusione), potrà comunque beneficiare di questa integrazione.
La decisione della Corte non avrà effetto retroattivo, ma solo per il futuro, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Resta ora da monitorare l’attuazione pratica da parte dell’INPS, che dovrà adeguare le sue procedure e riconoscere l’integrazione al minimo ai beneficiari dell’assegno ordinario di invalidità contributivo.