Francesco Cecchin, 46 anni dopo
Il ricordo del giovane militante irpino ucciso a Roma negli anni di piombo
Quarantasei anni sono trascorsi da quella tragica notte in cui Francesco Cecchin, giovane militante del Fronte della Gioventù, perse la vita a soli 17 anni, vittima di uno degli episodi più oscuri della violenza politica che insanguinò l’Italia alla fine degli anni Settanta. Originario di Nusco, in provincia di Avellino, Cecchin viveva a Roma, nel quartiere Trieste-Salario. La sera del 28 maggio 1979, dopo una discussione con alcuni coetanei di opposta militanza politica in merito all’affissione di manifesti, fu seguito, aggredito brutalmente e gettato giù da un terrazzino in via Monte Cervialto, nei pressi di piazza Vescovio. Morì dopo diciannove giorni di coma, il 16 giugno. Il caso destò all’epoca grande clamore: il processo confermò che si trattò di omicidio volontario, ma nessun colpevole venne mai condannato per insufficienza di prove. Una giustizia incompiuta che ha lasciato dietro di sé domande ancora oggi senza risposta.
A distanza di quasi mezzo secolo, il nome di Francesco Cecchin continua a vivere nella memoria di molti, soprattutto nella sua terra d’origine, l’Irpinia, dove l’associazione La Destra Grottese ogni anno ne ricorda il sacrificio con una cerimonia pubblica. “Francesco è stato ucciso solo perché militava in un partito di destra – sottolineano i promotori dell’associazione La Destra Grottese –. La sua memoria non si è mai spenta e vive nei cuori di chi ne ha raccolto il testimone ideale”. In diverse città d’Italia gruppi giovanili di destra lo ricordano regolarmente, considerandolo un simbolo della violenza subita da molti militanti di destra negli anni degli opposti estremismi. A Roma gli è stato intitolato un largo nel quartiere Trieste, non lontano dai luoghi dove visse e fu colpito a morte.
Quella di Francesco Cecchin è una vicenda che continua a dividere la memoria collettiva del Paese, riflesso di una stagione storica segnata dall’odio politico e dalla contrapposizione ideologica armata. In un’Italia che ancora oggi fatica a elaborare completamente il trauma degli anni di piombo, il ricordo di quel ragazzo irpino resta un monito: la politica non può mai trasformarsi in violenza, l’avversario non può mai diventare un nemico da abbattere. Ogni 16 giugno, chi non ha dimenticato quel volto giovane e quella vita spezzata troppo presto rinnova un impegno: fare in modo che simili tragedie non si ripetano più.