Avellino – La Cassazione ritiene legittimo l’ultizzo del “virus spia” trojan

Il Dottor Pignataro: "Si tratta di uno strumento molto più efficace delle classiche intercettazioni perché in tal modo si riesce a controllare nell’arco delle 24 ore la persona sottoposta a tale misura".

FOTO Dott. Salvatore Pignataro ' orgnizzatore IL PERSONAGGIO DELL´ANNOAvellino  – Sull’utilizzo del “virus spia” trojan o  più comunemente definito“ cavallo di Troia” in materia di criminalità e di corruzione per i reati superiori ai 5 anni, interviene il dott. Salvatore Pignataro, Presidente regionale in Campania dell’Associazione Italiana Criminologi per l’Investigazione e la Sicurezza, componente dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi (settore scientifico: scienze investigative) presieduta dall’ex comandante dei Carabinieri del Ris Generale Luciano Garofano e socio ordinario dell’Associazione Italiana Consulenti di Intelligence e Security. Sull’uso per specifiche esigenze investigative disposte dall’Autorità Giudiziaria, di recente la Cassazione penale nella sentenza n° 741/2020  ritiene legittimo l’utilizzo di “trojan” cioè del virus “spia” che, inviato per via telematica si auto-installa in telefoni, tablet, computer e attrezzature informatiche  per intercettarne le comunicazioni, quando si tratta di indagare su fatti di corruzione e criminalità. Si tratta di uno strumento molto più efficace delle classiche intercettazioni perché in tal modo si riesce a controllare nell’arco delle 24 ore la persona sottoposta a tale misura.

Le risultanze dell’intercettazione effettuata con tali mezzi sono perciò utilizzabili sia nei procedimenti penali sia in quelli disciplinari. Si ricorda che la prima normativa a disciplinare la materia dei trojan è stata il Decreto Legislativo  n. 216 del 2017. Per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione, compresa la corruzione, la possibilità di utilizzare il ”virus spia”, è stata introdotta dalla legge “spazzacorrotti”, la n. 3 del 2019 che  prevedere l’utilizzo dei  cosiddetti “ cavalli di Troia”, se si ipotizzano pene non inferiori nel massimo a 5 anni. Secondo le Sezioni Unite, il decreto del 2017 già prevedeva l’utilizzo dei captatori informatici nelle indagini per reati contro la pubblica amministrazione. Ne limitava però, l’utilizzo nel domicilio, in assenza di sospetti sullo svolgimento di attività criminale. La successiva legge “spazzacorrotti” –spiega Salvatore Pignataro –  ha cancellato la limitazione sul domicilio, allargando quindi un impiego che, però già era possibile. Come è noto, le captazioni disposte, a distanza e in modo occulto, da parte delle autorità preposte, attraverso l’installazione di programmi informatici  Come è noto, le captazioni disposte a distanza ed in modo occulto, attraverso l’istallazione di programmi informatici (conosciuti con i nomi trojan horse o spy-software o, nella pronunce giurisprudenziali, come captatore informatico), su computer, tablet o smartphone, avviene per mezzo del loro invio con una mail, un sms o un’applicazione di aggiornamento e consentono di acquisire tutto il traffico dei dati in arrivo o in partenza dal dispositivo infettato e di trasmetterli, per mezzo della rete internet, in tempo reale o ad intervalli prestabiliti, ad altro sistema informatico in uso agli investigatori.

In realtà molto più ampie e penetranti sono le potenzialità di detti strumenti, in quanto essi consentirebbero altresì di attivare il microfono e/o la web camera del bersaglio, di perquisirne l’hard disk e di fare copia delle unità di memoria del suo sistema informatico, di carpire ciò che viene digitato sulla sua tastiera e di visualizzarne lo schermo. Diventa dunque profilo vulnerabile, in termini di segretezza delle conversazioni e comunicazioni, l’ormai quotidiano uso di strumenti informatici del tipo di quelli citati, e utilmente sfruttabile, ai fini investigativi, il dato di comune esperienza che sempre meno ci si separa dai predetti  strumenti elettronici. Risulta allora immediatamente percepibile come un’intercettazione captativa “portatile”, al pari dei dispositivi sui quali viene attivata, incida maggiormente nella sfera privata del soggetto rispetto a un’intercettazione tradizionale. Anche il tipo di captazione in argomento – conclude Pignataro – va ricondotto nell’ambito delle intercettazioni c.d. “ambientali”, soggette alla disciplina dell’art. 266, comma 2, c.p.p., inclusa la necessità che, qualora si svolgano all’interno di luoghi di privata dimora, vi sia fondato motivo di ritenere che ivi sia in atto un’attività criminosa o quello previsto da alcuni casi di  corruzione.”  

Source: www.irpinia24.it