Resistere per esistere a Scampia: la storia di Ciro Corona tra speranza e lotta alla camorra

Le Case dei Puffi, l'Oasi del Buon Pastore, le Vele, i 7 palazzi oltre la fiction: dai luoghi dell'inferno alla Scampia degli eroi.

fotoCon “(R)esistere a Scampia” Ciro Corona racconta il riscatto e la rinascita della periferia napoletana, con un atto di denuncia che dà voce a un contesto in cui particolarmente difficile ed eroico è rimanere ligi. Da sempre impegnato in prima linea contro la camorra e il degrado sociale, Ciro Corona ha avuto il coraggio di imbracciare le armi della legalità, per ergere a simbolo di un riscatto possibile Scampia, la periferia per eccellenza, il luogo dell’illegalità a cielo aperto. In un racconto chiaro e lineare, dà forma sensibile al cambiamento, al grande traguardo raggiunto, al successo guadagnato con la vittoria dei giusti, che con fiducia e ostinazione hanno lottato per strappare Scampia alla camorra e ci sono riusciti.

Mi chiamo Ciro Corona, sono nato e cresciuto a Scampia e spero anche di morirci, di morte naturale e il più tardi possibile”. Le prime righe del libro rivelano l’ironia amara di chi della realtà conosce il bello e il brutto, ma in nome del primo è disposto a rischiare, perciò anche del male si appropria e impara a conviverci. Perché l’amore per la propria città, per la propria terra, per quel “rione malamente” responsabile dell’onta è più forte di ogni cosa, vince anche la tentazione di scappare. L’importante è saper riconoscere e scindere le parti, scegliere quella giusta e fare che da quell’amore venga qualcosa di veramente buono per tutti.

E’ un libro potente che racconta la Scampia autentica e rigetta la superficialità del luogo comune, perché dimostra che l’altra faccia della medaglia esiste, che il destino non è mai necessariamente segnato. Le parole di Ciro lo raccontano: “La camorra non è mai entrata in casa mia, nonostante l’avessi così vicina, nel mio stesso palazzo e in famiglia. E di questo devo ringraziare mio padre, che mi ha insegnato che è faticando che si campa, e mia madre, che mi è sempre stata vicina e mi ha sostenuto con una fiducia incondizionata. Non è stato facile, da ragazzo, sfuggire alle maglie della criminalità organizzata, alle lusinghe di un guadagno facile e a una strada lastricata di droga e morte. Io ho scelto un’altra strada e come me tanti altri a Scampia. Non ho scelto la strada della camorra e neppure quella della fuga. Ne ho scelto una terza: quella di restare, di resistere ed esistere“. Ha fatto la scelta più coraggiosa Ciro, che oggi, a 37 anni, ammette con amarezza di essere stato privato di un’infanzia felice e di un’adolescenza normale dall’occupazione arrogante e forzata della camorra. Una vera e propria violenta invasione che ha generato disagio e degrado estremo, maltrattando la quotidianità della gente e infrangendone i sogni sotto gli occhi indifferenti e distratti di uno Stato assente. Colate di cemento per quasi quarant’anni hanno seppellito migliaia di persone, “eppure nel deserto, grazie al lavoro di tanti resistenti, il cemento ha iniziato a colorarsi. Il territorio ha reagito e ha costruito un tessuto sociale che, mano a mano, si è ripreso le piazze del proprio quartiere. A Scampia la camorra c’è ancora, ma non detta più legge e non occupa più le nostre case, i nostri palazzi, i nostri parchi. Questa non è più terra della camorra. E’ terra nostra”.

E’ una storia di riscatto, di antimafia e di economia sociale scritta col sostegno e il contributo di uomini come Michele Spina, dirigente del Commissariato di Polizia di Scampia dal 2007 al 2013, che riuscì a smantellare un sistema di spaccio perfettamente radicato e consolidato nel modus operandi, che aveva reso Scampia la piazza di spaccio più grande d’Europa. “Per sradicare il sistema - afferma Spina - mi inventai una strategia basata, oltre che sulle indagini, su un’aggressione continua alla logistica dell’organizzazione militarizzata della camorra. Ciò che fece la differenza fu la tenacia di tale operazione”. Il “modello Spina” portò avanti una vera e propria aggressione materiale quotidiana. Tutti i giorni venivano distrutte le difese delle piazze di spaccio, portoni e cancelli dei palazzi in cui si svolgeva il traffico di stupefacenti, diventati dei veri e propri fortini. “Il trucco per fotterli - dice Spina - è stargli col fiato sul collo, non dargli neppure il tempo di respirare”; ma fondamentale fu pure infondere nelle persone la percezione di non essere più sole contro una prepotenza e un potere criminale che le rendeva irrimediabilmente prigioniere nei loro palazzi. “Dopo lo smantellamento della piazza di spaccio di Scampia - conclude Spina - l’aria ha ricominciato a circolare e a entrare nei polmoni. Abbiamo provato la stessa sensazione che prova un carcerato appena riconquista la propria libertà”.

Anche Don Aniello Manganiello è da sempre schierato apertamente contro la camorra, coraggiosamente disposto ai gesti più eclatanti, pur di manifestare la propria infallibile volontà di resistenza. Sulla porta della sua chiesa scrisse: “Droga e camorra sono la morte di Napoli, Vangelo e lavoro l’unica possibilità di resurrezione”; negò il matrimonio a un camorrista; organizzò una Via Crucis facendo coincidere le stazioni della Passione di Cristo con le piazze di spaccio; denunciò dal pulpito i comportamenti mafiosi che opprimevano il quartiere. Don Aniello è un prete rivoluzionario che non vuole girarsi dall’altra parte, ma condividere la storia e il quotidiano della gente; un sacerdote di frontiera, divenuto simbolo della lotta alla camorra, che non si limita a schierarsi contro la criminalità organizzata, ma denuncia anche il silenzio delle istituzioni e la cecità di una certa politica; un prete scomodo capace di risvegliare le coscienze, che sfida i camorristi, ridando speranza a un quartiere dimenticato.

Fujtevenne, fuggite, disse una volta Edoardo De Filippo, ma mia madre dice che io sono innamorato di Scampia, per questo non me ne sono mai andato”. Ciro ha creato lo sportello anti-camorra nel municipio del quartiere e fondato l’Associazione “(R)esistenza”, di cui è presidente; lavora con i minori a rischio, con i detenuti, con i migranti e gestisce un bene confiscato alla camorra, il Fondo Rustico Amato Lamberti a Chiaiano. Il suo impegno quotidiano si fonda sulla certezza che “dal baso si producono gli anticorpi per contrastare malapolitica e camorra, mostrando alla gente nuovi modelli di sviluppo e generando una possibilità di scelta”.

Nel 2013 Ciro Corona è stato insignito del Premio Borsellino per la legalità e, conoscendolo, ascoltandolo, leggendone la storia, viene effettivamente da pensare che proprio come lui parli e agisca un eroe, che fa antimafia vivendo il territorio e non dalle aule universitarie o dalle scrivanie dei Palazzi, e che, a proposito della paura, afferma: “Se dovessi scegliere tra la paura delle minacce dei deficienti e la paura che possano tornare a prevalere le piazze di spaccio, scelgo la prima, che è una paura che dà speranza”.

 

di Eleonora Fattorello

 

 

Source: www.irpinia24.it