Ghemon, al Carcere Borbonico l’artista (si) presenta “Io sono”

Il "diario anticonformista" del ragazzo, dell'uomo e dell'artista con la sua storia e i suoi segni.

Ghemon - CopiaUn incontro potentemente intergenerazionale quello di stasera all’ex Carcere Borbonico di Avellino, dove è stato presentato “Io sono. Diario anticonformista di tutte le volte che ho cambiato pelle”, edito da Harpercollins Italia, di Gianluca Picariello, in arte Ghemon. Il famoso rapper e cantautore italiano si è, infatti, raccontato in un libro che, più che un’autobiografia, è la storia di un progressivo adattamento: quello che un ragazzo di passione e talento ha sperimentato rispetto alle varie realtà, nuove, funzionali alla realizzazione del suo sogno. Ha trentacinque anni Ghemon e una straordinaria voglia di raccontare e di raccontarsi.

Relatore il grande esperto musicale Michele Acampora, che ancor prima di Ghemon ha conosciuto Gianluca tra cd e vinili, nello storico “Ananas & Bananas” del Corso cittadino, un vero e proprio tempio per i fedelissimi di allora. Ed è Acampora a sottolineare fin da subito come quel “Io sono” del titolo sia “un’affermazione radicale dell’essenza dell’uomo e dell’artista, un voler essere a tutti i costi in un’epoca in cui domina, piuttosto, la tendenza al voler apparire“. 

Un anticonformismo impugnato con convinzione fa di Gianluca un artista sui generis nel mondo che ha scelto di abitare; un rapper in erba che non ha paura di rischiare e non si lascia intimorire dal dissenso dei “grandi”; non si omologa Gianluca perché “essere artista è anche esprimere la creatività e il sogno“; un maglioncino rosa coi panda in luogo di una distesa abbrutita di pelle tatuata; un sorriso a tutti denti in luogo di uno sguardo truce e ostile fanno da copertina al primo album di Ghemon, “La rivincita dei buoni”, quasi a voler affermare, con parole, immagini e colori, che un contraltare esiste e va scoperto. E quel linguaggio non convenzionale e sconosciuto all’ambiente “canonico” del rap diventa il segno distintivo di Ghemon, che “sono inciampato nel rap quando ero piccolo e andavo a scuola ad Avellino – racconta -. Non esisteva Internet, non c’erano i social e la conoscenza musicale veniva essenzialmente dal negozio di dischi e da quello che poteva capitare in radio. Il rap non imponeva un bagaglio culturale particolare né richiedeva un’intonazione perfetta; dava, però, la possibilità di esprimere l’immediatezza dell’esperienza puntando sulla creatività“. 

Uno stile “spurio”, dunque, rende Ghemon famoso e unico tra i famosi, diverso per le varie componenti che rendono eccezionale il suo linguaggio, dal racconto personale all’emotività al canto vero e proprio. Il libro è un excursus completo che abbraccia la formazione appassionata, l’esperienza americana con il video girato a Brooklyn e la collaborazione con un produttore americano di fama mondiale, in arte Marco Polo, uno dei più influenti dell’underground hip hop dell’east coast. Ma anche le insicurezze, la confusione di chi si pone domande sulla strada che ha deciso di percorrere, difficoltà nascoste dietro una barba troppo lunga per potersi mostrare, per guardarsi e interrogarsi davvero. E poi la malattia, il baratro della depressione, la necessità di assumere farmaci per aiutare la ripresa. “Vivere la depressione è molto difficile, ascoltarne non è la stessa cosa“: dalle parole di Ghemon traspare una umanità commovente, che fa del suo racconto una confessione, quasi, seppur rivolta a una platea gremita di adulti e ragazzi in religioso e partecipe silenzio. “Mi sentivo diverso – continua -, ma ho chiesto aiuto e ho scoperto che la depressione è, purtroppo, più frequente di quanto si sappia“. Sensibilizzare alla condivisione: è questo l’intento di Gianluca che, anche grazie a Ghemon, spera di poter aiutare chi attualmente vive quello stesso calvario, perché “l’argomento è delicato – dice -, ma non uno stigma ed è importante sapere che la psicologie, la psichiatria, le medicine possono accompagnare, ma non guidare verso la guarigione; decisiva è la volontà individuale e a me la battuta di spirito non è mai mancata, perché preferisco di gran lunga ridere“.

 

di Eleonora Fattorello

 

Source: www.irpinia24.it