Giorno della Memoria, al Museo Irpino i giovani ricordano la Shoah

Con un flashmob sulle note della letteratura, zainetti in spalla e cellulari spenti, la memoria si è espressa quest'anno in sei minuti di intensa comunicazione e i giovani sono stati i protagonisti.

immagine1Alcuni raccontano che, entrando ad Aushwitz, appena oltre la soglia del cancello, i visitatori sono come accolti da una leggera folata di vento. Un guizzo delicato e commovente, a pensarci, che pare voglia catturare l’attenzione per accompagnare nel profondo, straordinario e terrificante viaggio della memoria.

Un appuntamento speciale quello di stamattina presso il Museo Irpino del Complesso Monumentale ex Carcere Borbonico, dove si è tenuto un  momento di raccoglimento, per ricordare le vittime della Shoah ebraica. Un flashmob dalle caratteristiche insolite ha riunito nel cortile antistante il museo una folla di studenti irpini che, disposti in tre cerchi concentrici, hanno voluto “ri-leggere” la storia, proponendo il punto di vista della letteratura sul fenomeno dell’Olocausto.

Un incontro veloce, concentrato ed essenziale nei contenuti e nel messaggio; nessuna parola di contorno, nessun discorso di retorica; la voce dei ragazzi ha riportato a galla immagini deposte e dolori sopiti, riflessioni da recuperare e una speranza ancora da coltivare. Perché l’omaggio offerto nel giorno della memoria porta con sé, nel pacchetto infiocchettato a dovere, il ricordo del passato e, insieme, l’auspicio per un presente e un futuro che imparino da esso.

“Secolo di genocidi” è stato definito il Novecento, per lo sterminio degli Ebrei, emblema di ogni discriminazione, e per gli Olocausti dimenticati, quelli di cui non si parla, che i media trascurano e che l’opinione pubblica quasi non riconosce. Dal massacro dei Nativi Americani, che fu il più immane e devastante olocausto operato per mano degli Occidentali, al triste destino degli Aborigeni Australiani, la storia sembra aver ereditato una pratica crudele, spietata e disumana di sopraffazione, persecuzione ed eliminazione sistematica e programmata dei propri simili che, pur aggrappandosi talvolta a giustificazioni di fondamento ideologico, non può trovare in nessun principio sano la propria legittimazione.

Le vicende tristemente note della comunità ebraica, così come quelle della Cambogia, del Ruanda, dell’Armenia, del Sudan, parlano di esseri umani privati della propria dignità e ridotti a oggetti da marchiare in serie, carne da cuocere, corpi da intossicare, rifiuti da eliminare. E’ questo che nel giorno della memoria, come e forse più che in tutti gli altri giorni, si vuole e si deve ricordare: storie di uomini, donne, anziani e bambini violentati e derubati della vita nella vita; sguardi terrorizzati e cuori spezzati, lacrime e sangue, teste nude e nude persone; i volti emaciati, i corpi scheletrici, i fili spinati, gli occhi disperati e spenti; cadaveri impilati nella polvere, atmosfera grigia di cenere, fumo nero che puzza di uomo e “un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buckenwald quasi nuove, perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole“.

Ogni anno, oggi, ciascuno di noi dovrebbe aggiungere al proprio tempo ordinario uno spazio di valore, anche nel silenzio o, magari, nel confronto, per donare un po’ di sé a ciò che è stato: perché la storia è storia nostra, di ogni singolo uomo che c’era allora e che c’è stato dopo: quella è una ferita che ci appartiene, che sanguinando racconta e che ammonisce. Ma, si sa, i posteri sono scolari disattenti.

 

di Eleonora Fattorello

Source: www.irpinia24.it