La Dignità nei contesti di cura: per una terapia che riscopra l’importanza del raccontarsi

La Dignity Therapy di Chochinov per restituire ai più deboli il senso della vita.

fotoDignità ontologica e diritti umani imprescindibili. Questi i temi su cui sabato 6 maggio si è sviluppato il convegno all’Auditorium Villa San Nicola di Cesinali. Un incontro organizzato dal Dottor Francesco Franza, Presidente dell’Associazione NeaMente e Primario della Casa di cura neuropsichiatrica Villa dei Pini, che ha moderato gli interventi. Grazie a lui è stato possibile creare un’equipe che si appassionasse al tema della dignità nei percorsi di cura e ne sviluppasse un progetto di lavoro.

Scopo del convegno è stato quello di presentare la Dignity Therapy, una terapia individuale breve, pensata per pazienti in fase avanzata di malattia, ma che è stata sperimentata anche nell’ambito penitenziario del Carcere di Bellizzi Irpino, una realtà particolare in cui, come ha sottolineato il Direttore Paolo Pastena, “si registra una frequenza di atti lesivi e anticonservativi maggiore che in qualunque altro contesto, che ci spinge a ricercare continuamente strumenti di prevenzione e tutela alternativi alla mera coercizione“.

E se da un lato l’aziendalizzazione degli interventi riduce notevolmente la possibilità di un recupero effettivo, muovendosi in “un percorso che considera la malattia prima ancora che la persona, il contatto col dolore porta i medici a porsi nella direzione di scegliere il meglio per il paziente, in una prospettiva etica e morale, che si basi su principi umani e cristiani“: lo ha specificato la Dottoressa Anna Gabriella Pugliese, responsabile sanità penitenziaria all’Asl di Avellino.

Il concetto di dignità vive nella quotidianità e l’essere umano, in quanto tale, è persona degna: già l’imperativo categorico di Kant , presentando l’uomo come fine e non come mezzo, invitava a considerare la capacità peculiare dell’essere umano di riflettere e dare un senso alle proprie azioni, nella costruzione di un progetto di sé. “Nei contesti di cura – ha affermato il Dottor Gino Aldi, medico psicoterapeuta e Direttore della rivista “Telos” - si viene costantemente a contatto con il concetto di dignità, perché la malattia, minando le potenzialità psico-fisiche e la libertà, ne è inevitabilmente una limitazione“. Attraverso una relazione che si basi sul dialogo, dunque, la cura deve essere percepita come una possibilità, che spinga ad affidarsi all’altro in cambio della promessa di guarigione. Implica, pertanto, un rapporto asimmetrico e la responsabilità del curante, che è vicario del paziente, perché ne assume la fragilità: “Disumanizzare il processo di cura – ha continuato Aldi – riducendo il paziente a un numero e limitando il dialogo, rischia di restituirgli una sensazione di non ascolto“. La farmacoterapia da sola non basta: è fondamentale per portare alla remissione dei sintomi e alla guarigione clinica, ma paura, dolore, nevrosi, preoccupazioni devono venir fuori perché il paziente possa recuperare la progettualità compromessa e dirsi completamente guarito.

In un excursus sulla storia della dignità in arte e letteratura, il Professor Pasquale Areniello, ex Docente di Letteratura Italiana presso il Liceo Mancini di Avellino, ha messo in luce l’importanza di disporsi sempre alla comprensione dei più deboli, con la consapevolezza che la fragilità è insita nella condizione umana e che la malattia non priva l’uomo del proprio valore. Vero è che ancora oggi lo stigma, il pregiudizio, la discriminazione colpiscono i più deboli a ogni livello, qualunque sia il disagio che manifestano. “Sono necessari – ha dichiarato Gianfranco Del Buono, Medico Chirurgo Psichiatra del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Salerno – interventi strutturali di governance, che sviluppino servizi degni nel rispetto dei diritti umani, poiché tutte le persone affette da disagio o disabilità sono membri della società e hanno gli stessi diritti degli altri“. Pochi Paesi hanno a tutt’oggi leggi specifiche a tutela della difficoltà e pochissimi promuovono pratiche alternative a quelle coercitive che – ha continuato Del Buono – “sono anti-terapeutiche e riducono l’autostima, peggiorando la salute psico-fisica“.

La medicina narrativa, con la Dignity Therapy, dà ai pazienti la possibilità di raccontarsi, aumentando notevolmente la capacità empatica dell’intervento e facilitando la reciproca comprensione. Lo sa bene la Dottoressa Mariangela Perito, Psicologa e Psicoterapeuta che, insieme alla Dottoressa Pugliese, ha portato la Dignity Therapy nel contesto carcerario di Bellizzi Irpino: “In un luogo che si presenta come la negazione della libertà per eccellenza, la comunicazione ha un enorme importanza, perché i detenuti hanno bisogno di riscoprire la propria identità, sentendosi riconosciuti“. La Dottoressa Perito ha spiegato come questo tipo di terapia, proposta dal Professore canadese Harvey Max Chochinov, sia l’intervento psicoterapeutico breve e individuale teso alla conservazione della dignità in pazienti con gravi malattie terminali. La metodologia dell’intervento si basa su un’intervista sottoposta al paziente, che è invitato a raccontarsi e a lasciare quel racconto in eredità alla propria famiglia. “L’esperienza di osservazione in carcere – ha dichiarato la Dottoressa – mi ha fatto constatare che, spesso, una volta dentro le mura, alcune persone vivono intensi sentimenti di sfiducia verso se stessi e il mondo circostante, sperimentando perdita d’identità in un processo di disumanizzazione“. I risultati ottenuti hanno evidenziato particolari cambiamenti nell’umore, un miglioramento delle capacità relazionali e la scomparsa di pensieri autolesionistici.

E lo sa anche la Dottoressa Alice Maruelli, Psicologa e Psicoterapeuta LILT della sezione provinciale di Firenze, che con Chochinov si è formata e porta quotidianamente la Dignity Therapy al Centro di Riabilitazione Oncologica Villa delle Rose di Firenze: “L’esperienza della D.T. a livello oncologico vuole accompagnare i pazienti dal momento della diagnosi a tutto il resto della vita, per salvaguardarne l’integrità psicosociale, spirituale ed esistenziale“. La Dignity Therapy è rivolta a chiunque sia in una condizione che mette a rischio la vita o la sua durata, con la certezza che, come scrisse Ippocrate, “è più importante sapere che tipo di persona ha una malattia, che sapere che tipo di malattia ha una persona“.

 

di Eleonora Fattorello

 

Source: www.irpinia24.it