Ciambriello e l’analisi della casta tengono banco all’ex Carcere Borbonico
Ciambriello: "Le caste ci tranquillizzano, ci dividono e non ci usano nemmeno cortesia"
Avellino – Nella sala Ripa dell’Ex Carcere Borbonico si è tenuta la presentazione del libro “Caste e Castighi: il dito nell’occhio. Linguaggio, indignazione e speranze” di Samuele Ciambriello. Un autore poliedrico che ha tenuto banco durante il dibattito che ha animato questo pomeriggio avellinese.
A moderare Generoso Picone, ospiti Silvio Sarno, Paolo Ricci e Rosetta D’Amelio.
L’introduzione è stata affidata al direttore de Il Mattino che ha illustrato il tema portante del testo: una riflessione critica sulle caste. Le caste che per Picone “sono frutto della crisi della democrazia e della rappresentanza più che della politica. Caste presenti ormai in ogni assetto societario, separate dall’opinione pubblica per mezzo del loro stesso linguaggio e per cui oggi cercheremo di dare una possibile soluzione, rinvenibile nella ricomposizione”.
La questione viene prontamente affrontata da Paolo Ricci, Presidente dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli, sull’onda del quesito di Picone “cosa sono le caste e perché si è creato questo monadismo sociale”.
“Il tema centrale sono sicuramente le caste la cui esistenza è, a mio avviso, ascrivibile alla nostra condizione contemporanea: tutto è riconducibile alle caste. Aggregazioni che si impongono, si appropriano del potere e si difendono, questa potrebbe essere una definizione e – spiega Ricci – del resto, l’Italia è sempre stata capace di costruire lobby anche se di recente se ne dibatte meno. Il primo accenno di casta è rinvenibile nel familismo amorale che faceva capolino negli anni ’50 per spiegare fenomeni tipicamente italiani”.
“La casta è una malattia, una peculiarità degli italiani e, probabilmente – conclude Ricci – meriterebbe una valutazione più antropologica che sociologica”.
A dare nuovo slancio al dibattito è ancora Picone che prova a leggere il fenomeno della casta sotto un’altra luce: “la casta può essere vista anche come una forma di coesione comunitaria, una sorta di supporto solidale. È un gruppo che opera nella società ma che decide di non rispondere a delle regole se non alle proprie. Il problema – spiega Picone – si pone quando le regole a cui rispondono sono quelle di altre caste. Un fenomeno, questo, che si presenta alla fine degli anni ’80 ed attribuibile alla rottura, alla crisi del sistema che ha segnato la fine della Prima Repubblica”.
Si inserisce così nel discorso Silvio Sarno per il quale “le caste si sono sostituite, necessariamente, alle élite. Si è iniziati a un processo individualistico per cui il proprio successo è solo a favore di se stessi e della categoria di appartenenza, non più del bene comune”.
“Quello delle caste è un discorso che va al di là dei confini nazionali, è un problema della modernità e, per quanto mi riguarda – conclude Sarno – necessita di una risposta storica più che antropologica e sociologica”.
Per dipanare il bandolo della matassa interviene l’autore: “la casta è un’aggregazione che prima o poi ti fa arrendere, genera l’indifferenza, il non impegno ma non l’indignazione. Non esiste la meritocrazia, esiste la casta. Eppure, se esiste è perché esistono i questuanti, quelli che alla casta si rivolgono in cerca di raccomandazioni cosicchè la casta si perpetua, continuando a generare diseguaglianze”.
“Al giorno d’oggi viviamo l’ansia e le caste ci tranquillizzano, il loro primo valore è rasserenare chi un futuro lo sogna e lo agogna. Le caste ci tranquillizzano, ci dividono e non ci usano nemmeno cortesia” chiosa Ciambriello.
A chiudere il Presidente del Consiglio Regionale Rosetta D’Amelio che riporta la questione alle tematiche regionali: “Le caste della Regione sono i burocrati che non riescono neanche a scrivere una procedura; bisogna aggiornarsi anche rispetto all’idea di casta politica, che certo ha le sue responsabilità ma non è l’unica. È giusto interrogarsi sulle caste ma è essenziale intervenire sulla cultura di un Paese che è pre-democratico, è un paese che paga lo scotto di non riconoscere a tutti le stesse responsabilità”.
Natascia Tripolino