Trattativa Stato-Mafia, Mancino: “Cercano nomi noti per confermare il teorema”

Nicola Mancino«”Presunta”, io la chiamo “presunta” trattativa tralo Stato e la mafia». Sembra un dettaglio, ma per Nicola Mancino non lo è affatto. Da troppo tempo l’ex ministro dell’Interno, ex presidente del Senato e vicepresidente del Csm è sul banco degli imputati accusato di essere uno dei protagonisti, in negativo, di una delle stagioni più drammatiche della storia del nostro Paese. Attualmente è sotto processo a Palermo con l’accusa di falsa testimonianza. I suoi avvocati difensori Massimo Krogh e Nicoletta Piergentili Piromallo nonhanno dubbi: «Mancino è a giudizio per una falsa testimonianza già esclusa dal tribunale davanti al quale l’awebbe resa. È quindi un ospite incomprensibile di questo processo». Nello stesso procedimento verrà ascoltato come testimone il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Non ho nessun commento da fare su questa decisione della Corte – taglia corto Mancino -.Posso solo dire che i miei avvocati difensori non hanno mai sollecitato la convocazione del Capo dello Stato. Il Presidente ha dato la sua disponibilità, i giudici hanno deciso di interrogarlo, lui ha preso atto e anch’io ne prendo atto. Potrei dire che si tratta di un’anomalia ma mi scusi, preferisco non aggiungere altro su questa vicen da». Si sente in qualche modo responsabile per quelle telefona tè con il Quirinale? È pentito di averle fatte? «Le mie chiamate sono state tutte trascritte elette. E sono la prova che in quell’occasione io, più che chiedere, ascoltavo. Non ho mai domandato la protezione di Loris D’Ambrosio. Il mio era uno sfogo. Esprimevo il dolore di chi si ritrova vittima di sospetti e di un trattamento che andava ben oltre i confini delle inchieste». Difficile dimenticare, in questa vicenda, la morte del consigliere D’Ambrosio. «Ho il massimo rispetto per il Capo dello Stato e per il compianto consigliere D’Ambrosio. Una bravissima persona, un grande servitore dello Stato». Le confesso che fa un certo effetto leggere il suo nome e quello del Capo dello Stato al fianco di quelli di boss del calibro di Totò Riina e Giovanni Brusca. «Personalmente mi ritengo un teste estraneo. Da ministro dell’Interno ho combattuto la mafia senza mezzi termini. Da parte mia non c’è stato alcun cedimento ne sul carcere duro, ne sulla “presunta” trattativa». Eppure secondo Brusca era lei il destinatario del famoso papello? «Una versione smentita a Caltanissetta da Riina. La verità è che mi trovo a giudizio senza alcun riscontro, solo per le dichiarazioni di testimoni riconosciuti come inattendibili». Pensa a Ciancimino? «Massimo Ciancimino è accusato di gravi reati. Diluì i magistrati hanno detto che è ” capace di mentire e costruire interi documenti”. È questo che mi amareggia, ritrovarmi in un processo senza alcuna responsabilità e senza riscontri. Basta leggere quello che ha scritto il gip Morosini». Cioè? «Quando si è trovato a decidere ha detto chiaramente che le prove non erano sufficienti. Per questo haprevisto un’integrazione probatoria e, alla fine, ha detto che non si esprimeva sull’attendibilità delle prove raccolte. E ha comunque predisposto il rinvio a giudizio». Però anche Claudio Martelli ha fatto il suo nome. «Martelli ha detto che non sapeva nulla della trattativa e non me ne ha mai parlato. Mi avrebbe solo segnalato che c’eraun’attivitànon autorizzata, che i “carabinieri parlavano con Ciancimino”. Come facevo, da questo, a dedurre logicamente che stavano Martelli Nino Di Matteo, che hanno avuto infortuni di natura processuale con la strage di via D’Amelie». Si sente vittima di un teorema giudiziario? «C’è un teorema che, evidentemente, aveva bisogno di una persona politicamente rilevante come un ministro dell’ Interno per essere dimostrato». O come il Capo dello Stato? «Si è creato un clima in cui è più facile accusare lo Stato che difenderlo. Io, invece, continuo a difenderlo perché non sapevo nulla di questa “presunta” trattativa».

Fonte Il Tempo