Nusco – Vittorio Feltri: “Se Ciriaco sarà eletto, stapperò una bottiglia di Falanghina”

EDITORIA: FELTRI LASCIA DIREZIONE DEL GIORNALELa candidatura a sindaco di Nusco di Ciriaco De Mita non poteva passare inosservata. La stampa nazionale ha riportato la notizia, ma c’è chi come Vittorio Feltri su “Il Giornale” ha voluto dedicare all’ex premier aspirante primo cittadino la foto d’apertura della prima pagina. Di seguito vi riportiamo il corsivo di Feltri:

“Tra noi ex ragazzi, molto ex, ci si capisce al volo: consiglio a — Ciriaco De Mita, noto personaggio politico democristiano dei tempi che furono, di accettare la candidatura a sindaco di Nusco, suo Comune natale e di residenza. A 86 anni, quanti lui ne ha, si può, anzi si deve, tornare a casa per occuparsi del territorio attorno alla parrocchia che ci ha visti bambini. — De Mita per oltre 40 anni è stato protagonista della politica italiana,accomodato sulle poltrone più importanti della Democrazia cristiana e delle istituzioni del Paese. Gianni Agnelli lo definì impropriamente «intellettuale della Magna Grecia», alludendo alla sua inclinazione a spaccare il capello in quattro. Non tutte le battute dell’Avvocato erano felici. Questa non lo era, giacché don Ciríaco era figlio di un sarto e fece una gran carriera non con le chiacchiere, ma dedicandosi al partito anima e corpo, dopo aver studiato con profitto ed essersi laureato in giurisprudenza, grazie a una borsa di studio conquistata sul campo alla Cattolica di Milano. Partire da Nusco, un grumo di case sulla montagna, con pochi soldi in tasca, e arrivare a Palazzo Chigi, non credo sia stato facile. A un certo punto sembrò che l’ascesa del giovane meridionale non dovesse finire mai. E in effetti proseguì per decenni. Altra epoca. La politica forse non era migliore di oggi, ma chi la praticava aveva almeno rispetto delle forme, era obbligato ad averne se desiderava non essere emarginato. Cosicché si metteva in coda e cercava di salire un gradino alla volta, senza sgomitare per non suscitare l’impressione di essere un raccomandato o, peggio, un arrivista. Il merito contava. E De Mita, tanto per andare sul concreto, è stato ministro in quattro governi e in uno premier, nonché segretario della De. Un barone. Un notabile la cui opinione, anche nei momenti meno fortunati, è sempre stata tenuta in considerazione ai vertici democristiani. Nessuno ipotizzò il suo tramonto, e lui difatti none mai tramontato del tutto. Per dire: ultimamente è stato parlamentare europeo, ora il mandato è in scadenza. Ciríaco non ambisce a rientrare a Bruxelles e a Strasburgo, dove si è annoiato. Ma neppure si rassegna ad abbandonare la scena. Gli piace il lavoro della politica, perciò punta al ruolo di sindaco a Nusco. Se piazzerà il colpo – e non dubitiamo che lo piazzi – seguiterà a coltivare la propria passione perla cosa pubblica sia pure applicata al suo paesello anziché al continente o alla nazione. È apprezzabile questa sua scelta minimalista, rivela una genuina vocazione che rivaluta l’uomo anche agli occhi di chi sospettava che egli fosse soltanto un grimpeur, un abile sfruttatore delle opportunità offerte ai politici professionali. Chi passa sorridendo dal centro all’estrema periferia, benché vanti un curriculum di rispetto, va guardato con ammirazione. Forse mi fa velo la simpatia. Conosco De Mita dagli anni Settanta. Si svolse a Belgirate un convegno dei basisti de e il Corriere della Sera m’incaricò di seguirlo. Un paio di giorni di lavori. Il relatore di spicco era lui, Ciriaco. Lo ascoltai con interesse e dettai il pezzo agli stenografi, allora usava così. Il dì appresso rientrai in redazione. Nel pomeriggio la se- greteriamiawertì che il ministro mi stava cercando. Oddio – pensai – avrà qualcosa di cui lamentarsi per il mio articolo. Lo rintracciai tramite la batteria. Quando mi rispose ero agitato, però mi calmai subito: Ciriaco mi riempì di elogi, complimentandosi per co – me avevo interpretato il suo discorso. Non mi era mai capitata, ne più mi capitò, una cosa simile. Motivo per cui, forse, alcuni anni appresso, egli accettò volentieri che lo seguissi in campagna elettorale. Era il 1987. Comizi di qua e di là. Trasferimenti in aereo, quello di Calisto Tanzi, che il segretario della De utilizzava per gentile concessione del «lattaio». Anche la gente del Nord, assiepata nelle piazze, applaudiva entusiasticamente l’intellettuale della Magna Grecia». La De era amata e odiata. Raramente t’imbattevi m qualcuno che confessasse di votarla, ma a spoglio avvenuto constatavi che quasi il 40 per cento degli italiani l’aveva votata. A Ferragosto di quell’anno il Corriere m’inviò a Nusco. Missione: intervistare De Mita. Il quale mi ricevette a casa sua e, invece di rispondere alle mie domande sui destini del governo, mi raccontò un paio di barzellette – esattamente come fa di norma Silvio Berlusconi – che riportai nel reportage. L’indomani il servizio apparve in prima pagina, titolo d’apertura. Roba da matti. Avevo descritto Nusco come un cantone svizzero, perché, a pochi anni dal terremoto, il paesello si presentava in perfetto ordine e di un lindore elvetico. Pura verità. Sarà stato per questo che Ciriaco, all’inizio degli anni Novanta, mi chiamò ad Avellino insieme con Paolo Mieli a tenere una conferenza sulla gestione del dopo sisma in Irpinia. Al termine del dibattito, ci recammo a Nusco nel villino del leader democristiano e qui consumammo una cena sontuosa, cucinata dalla moglie. Ebbi la conferma: il Comune d’origine di De Mita era meglio di Bellinzona. Ecco perché lo scranno di sindaco di quel piccolo centro montano del Sud oggi spetta a lui, al padrone della fu Democrazia cristiana. Gli spetta di diritto. Se Ciriaco sarà eletto, stapperò una bottiglia di Falanghina, lo stesso vino bianco che mi offrì mentre nel 1987 mi raccontava le barzellette invece di rispondere ai miei quesiti di modesto intervistatore”.