Teatro 99posti – Al via “Sciapò”, rassegna di teatro “a cappello”
Avellino - Sciapò è una rassegna di teatro a cappello nata nel 2011 da un’idea di Domenico Santo per il Teatro Civico 14 di Caserta.
Fare cappello significa non pagare prima, ma dopo, e solo in base al gradimento dello spettacolo proposto. Il cappello è nato nel 1500, con la Commedia dell’Arte, quando per la prima volta nella storia dell’umanità, fare l’artista diventa un mestiere, con i cui guadagni si vive. Questa fu una vera e propria rivoluzione, sia artistica che socioeconomica: socioeconomica perché per la prima volta i commedianti non erano più chiamati a rispondere a un signore, ma dovevano farsi imprenditori diretti del proprio lavoro; artistica, per la strettissima interrelazione fra i guadagni del cappello e quello che si faceva in scena. Ogni attore sapeva che se avesse sbagliato una battuta sarebbe stato multato dalla compagnia, perché il cappello sarebbe stato più magro; ogni capocomico sapeva che un canovaccio avrebbe continuato a girare di piazza in piazza solo se il cappello lo avesse promosso.
Il pubblico, grazie al democraticissimo cappello, era fruitore, giudice e produttore dello spettacolo, e tutta la compagnia lavorava esclusivamente per lui. Oggi, proprio come nel XVI secolo, le compagnie sono sempre più spesso chiamate a diventare imprenditrici della propria arte: quale strumento migliore del cappello? Sciapò vuole riportare il cappello nel teatro, per ridare alle compagnie la visibilità che hanno perso, grazie alla creazione di una rete che già per la stagione 2013-14 può vantare 5 piazze in 3 regioni, e per ridare al pubblico il potere di scegliere e il piacere di tornare a teatro.
Per la stagione 2013-14, oltre al Teatro Civico 14, ci ospiteranno il Teatro 99 Posti di Avellino, il Nostos Teatro di Aversa, il Teatro Bertolt Brecht di Formia, il Troia Teatro Festival e varie sedi a Roma. Le compagnie che fino ad ora hanno deciso di sposare il nostro progetto sono: la compagnia Auèr Teatro, Compagnia Mutamenti, Teatro di Legno, 20 Chiavi Teatro, Teatro in Fabula, Compagnia Esposti, Kanteri, ma l’elenco è fortunatamente in continuo aggiornamento.
ENRICO, L’ULTIMO
uno spettacolo della COMPAGNIA MUTAMENTI
con Ilaria Delli Paoli, Roberto Solofria, Rosario Lerro, Antimo Navarra, Domenico Santo
adattamento e regia Rosario Lerro
liberamente ispirato a Enrico IV di Luigi Pirandello
costumi Ortensia de Francesco
scene Antonio Buonocore
INGRESSO LIBERO, USCITA A CAPPELLO!
SINOSSI | L’ultimo ospite di una casa di cura che rischia la chiusura. La tragicomica storia di un “folle” che partecipa ad una mascherata in costume e in seguito ad una caduta batte la testa e si convince di essere realmente il personaggio che stava interpretando. Attorno a lui personaggi che assecondano la sua pazzia per alleviare le sue sofferenze e conservare il posto di lavoro.
NOTE DI REGIA | La grandezza di Pirandello sta nell’aver affrontato il tema dell’alienazione in un tempo in cui la psicanalisi è ancora in fasce e chi viene considerato “pazzo” deve essere rinchiuso, allontanato, punito. La maggior parte dei manicomi italiani sono stati chiusi soltanto dopo il 1994: la legge 180 di Franco Basaglia del 1978 ha regolato l’assistenza psichiatrica in Italia ponendo fine ai manicomi come luoghi di costrizione fisica e mentale. A 30 anni da questa normativa sopravvivono però ancora oggi sei ospedali psichiatrici giudiziari, di cui uno ad Aversa (vicino Caserta) tristemente noto per i continui suicidi dei suoi “ospiti”. L’esilio dorato dell’Enrico IV Pirandelliano diventa reclusione. Gli attori si muovono in un confine stretto, la “pazzia” apre strade infinite e percorsi irti che portano alla solitudine, all’angoscia di vivere a cavallo tra un mondo reale ed uno sognato.
LA NAVE DEI FOLLI
uno spettacolo del TEATRO DI LEGNO
con Annamaria Palomba, Silvana Pirone, Domenico Santo, Salvatore Veneruso
Regia e drammaturgia di Luigi Imperato e Silvana Pirone
Costumi e scene di Luigi Imperato e Silvana Pirone
Disegno Luci di Paco Summonte
INGRESSO LIBERO, USCITA A CAPPELLO!
SINOSSI | Personaggi grotteschi segnati dalla follia. Sono vittime dell’emarginazione, prigionieri del viaggio, immobili sulla soglia dell’esilio. Vengono condotti al loro destino con l’inganno: imbarcati con l’illusione di un pellegrinaggio salvifico.
NOTE DI REGIA | La nave dei folli accoglie corpi-relitti, storie di oltraggi, di umanità ripudiata. Anime sopravvissute a se stesse, personaggi senza più nome in un ambiente senza più nome: brandelli di esistenze appartenute forse ad alcuni ma ormai rifiutate, come si rifiutano oggetti vecchi in cui non ci si riconosce più e che denunciano una parte di sé. Quella parte che è comodo non mostrare e
soprattutto non guardare. I nostri folli aspirano ad aggirarsi nelle nostre menti e sotto la nostra pelle, godono a metterci di fronte
ad un dubbio, uno specchio distorto che ci fa domande e che non sa dare risposte. Loro stessi vivono nel continuo dubbio della realtà che li esula a volte esitanti nel credere a sé stessi: si sorprendono a fingere, a recitare ruoli o a sentirsene doppi involontari. Sono soli eppure uniti dalla comune solitudine, si tengono per mano, si abbracciano in un amplesso di male comune, ma si fanno anche la
guerra, si odiano, si amano e sperano. Sono uomini. La nostra attenzione non è concentrata sulla follia come stato psichico, ma sulla ritualizzazione scenica dell’esilio che si trasforma lentamente nel rito del ricordo e della disperazione.
ROSA NURZIA (PENA DE L’ALMA)
uno spettacolo della COMPAGNIA ESPOSTI
di e con Ciro Esposito
regia di Valentina Carbonara
elementi di scena di Monica Costigliola
INGRESSO LIBERO, USCITA A CAPPELLO!
SINOSSI | “Rosa Nurzia” è l’attimo prima della fine. È un’esplosione bloccata, come in una foto, dove per vedere il seguito è necessario ascoltare.
NOTE DI REGIA | Dalle parole di Rosa dipende tutto. Se non racconta, il suo mondo non può finire. Se non racconta, non può accorgersi che il suo mondo è finito. Rosa è immobile sulla sua sedia, fieramente barricata nell’unico spazio consentito al suo essere vecchia
e definitivamente sola, ora che sua sorella Alma è partita. Entrare nella sua casa è come dare l’ultimo saluto a un mondo in decomposizione. È partecipare ad un funerale che lei tenta comicamente di rimandare: ricordando, aggrappandosi a un tempo che non esiste più, pronunciando sentenze ridicole e lapidarie su chiunque e su qualunque cosa le capiti a tiro, abbandonandosi a visioni mistiche e istinti profani.
Rosa ha una storia da raccontare con la sua lingua antica e forte e con il suo corpo incerto, nervoso, che non sa più rialzarsi da solo.
Una storia reale, privata, fatta di piccole cose, che fa ridere e che per questo fa male. È il passato destinato a scomparire nella vaghezza del contemporaneo. È l’immedesimazione di un vivo con un morto, di un corpo con un’anima. È l’impossibilità di generare, evolvere, fiorire. È la sfida di far entrare la forza della donna, nel corpo di un attore maschio.