L’intervento – Quel pasticciaccio sulle Province
Il disegno di Legge sulle Province, da non confondere con quello recentemente presentato dal governo di portata costituzionale e teso alla espunzione delle Province dal dettato costituzionale, e’ stato presentato a mezzo stampa, prima ancora che in Consiglio dei ministri, come una rivoluzione ordinamentale ma in realtà rientra a pieno titolo in quella serie di misure variegate e spesso disorganiche di contenimento della spesa pubblica. Questa impressione sembra essere confermata dalle dichiarazioni del Ministro o dei suoi sostenitori: in specie, tra le misure di natura ordinamentale introdotte, secondo quanto dichiarato, si evidenzia il presunto risparmio concretizzato sui costi della politica. Un risparmio che, come già evidenziato dalla recente relazione della Corte dei Conti, e’ pari allo 0,5 % delle spese complessive di funzionamento degli enti locali! Non e’ una novità! Con rapida successione, a partire dalla fine del 2007 e, soprattutto, tra la fine del 2009 ed il 2012, in Italia sotto la voce Province si sono schierati i più rapaci sostenitori di tagli ai costi della politica. Peccato che l’incidenza delle Province, per ciò che riguarda le spese complessive di funzionamento dei suoi organi, sono nettamente inferiori rispetto agli enti equi ordinati (Regioni, Comuni e Stato) e rappresentano solo il 5% dell’ammontare di gestione complessiva dell’Ente. Sfatato il mito dei costi, resta da sciogliere l’altro mistero: l’irrilevanza dell’Ente secondo la tesi degli abolizionisti. La presenza di un ente intermedio di area vasta e’ dato su cui tutti sono concordi, mentre la materia del contendere e’ la coincidenza di tale presenza con quella provinciale. Se facciamo un’analisi comparata nei paesi europei e’ facile constatare che questi presentano una struttura dei poteri locali a tre livelli. Solo alcune nazioni con densità e estensione territoriale ridotta hanno due livelli istituzionali. Nello specifico, in alcuni di questi paesi i due livelli sono rappresentati dal governo municipale e dal governo regionale, mentre in altri (Repubblica Ceca, Irlanda, Slovacchia, Lettonia e Portogallo) sono presenti invece due livelli di governo locale, uno comunale e un governo locale intermedio.
Gli altri paesi hanno un’organizzazione territoriale a tre livelli, con notevoli differenze al loro interno, ma tutti hanno un diffuso e consolidato rapporto di governance diretta, ovvero livelli di elezione diretta e rappresentativa degli organi locali.
Esaurite e smentite le due certezze su cui si basa il ddl (contenimento dei costi e irrilevanza della Provincia) si deve affrontare il tema della incostituzionalità di tale disegno di legge. Come noto, secondo il Ministro, la grande novità del ddl e’ quella di sostituire la presenza di un ente intermedio con funzioni di area vasta con un organismo rappresentativo tra comuni, instaurando il duplice effetto di un contenimento dei costi della politica e di una razionalizzazione dei livelli di governo locale. Appurato che sia sui costi che sulla riorganizzazione in termini di efficienza si nutrono forti dubbi in ragione della modesta incidenza erariale e della consequenziale esplosione dei centri decisionali, l’aspetto più grave resta quello della trasformazione del governo di area vasta da diretto a indiretto. Il ddl annunciato da Delrio stabilisce che organi dell’unione sono solo il Consiglio, composto dai sindaci dei comuni superiori ai 15 mila abitanti e dai rappresentati delle unioni avvenute tra i comuni di piccola densità, e dal Presidente dell’Unione. Su tale disciplina si possono avanzare seri problemi di costituzionalità. Vero e’ che in Costituzione non c’è alcun vincolo circa l’elezione diretta degli organi degli enti territoriali, tuttavia e’ altrettanto certo che le Province sono qualificate come enti territoriali, esponenziali e rappresentative della popolazione locale, non come espressione associativa di comuni. Un dato di non poco conto che incide sulla rilevanza costituzionale dell’elettorato passivo e sui gradi di uniformità elettorale di enti costituzionalmente e gerarchicamente paritetici. Non si avrebbe più una rappresentanza territoriale ed esponenziale ma solo una rappresentanza tra Comuni, peraltro differenziata tra comuni in base alla densità (altro profilo di illegittimità). Nei sistemi federali una rappresentanza di secondo grado si esplicita quando i grandi elettori scelgono liberamente i loro delegati, mentre in tal caso si avrebbe una rappresentanza non esponenziale, ma associativa. E’ indubbio che un siffatto consiglio, composto da rappresentati dei comuni con più di 15 mila abitanti e da quelli delle unioni, paleserebbe una grave violazione sia del principio di esponenzialita’ dell’Ente locale, sia di trattamento rappresentativo eguale. In quest’ultimo caso, infatti, per i piccoli comuni si attuerebbe una terza rappresentanza (i delegati dei delegati delle Unioni dei piccoli comuni). In tal modo si creerebbero gravi vulnerazioni sul diritto di voto di ogni cittadino, non solo esponente politico. Un diritto che ha caratteristiche estensive e non limitative e che trova legittimità in un ente di rappresentanza ancora costituzionalmente rilevante. Quanto poi al Presidente, dovendo essere scelto tra i componenti del consiglio, vanterebbe un potere di rappresentanza di terzo grado e non esponenziale essendo eleggibile tra i soli rappresentanti delegati del consiglio. Infine, non è’ ancora chiaro il livello di dislocazione delle funzioni amministrative e i criteri di allocazione tra Regione e Comuni. Un ultimo dato: le unioni tra comuni sotto i 5000 abitanti restano spesso solo esperimenti nominalistici la cui efficacia è’ ancora da sperimentare ( la sua obbligatorietà e’ stata fatta slittare al 2014). In tal caso il livello di approssimazione nella gestione delle funzioni amministrative sarebbe doppiamente amplificato.
In sintesi la scelta di un ddl, dopo la presentazione di un disegno costituzionale e dopo la sentenza importante della Consulta, sembra essere esclusivamente finalizzata al blocco delle elezioni nelle province commissariate. Constatata l’impossibilità di una riforma costituzionale in un tempo ragionevole, visti i rilievi della Corte, alla luce della non reiterabilità del prolungamento dei commissariamenti (disciplinati dalla legge di stabilità, art. 1, comma 115), il Governo ha pensato ad una legge ordinaria “transitoria” di trasformazione in Unione comunale delle Province (modello Crocetta) senza alcuna ponderazione riguardo al grado di intensificazione dei costi e senza alcuna valutazione circa la sicura policentricita’ dei luoghi di decisione. Un disegno approssimativo che elude il problema del riassetto degli enti locali, mette da parte la questione della Carta delle autonomie e allontana il vero problema che è’ quello delle funzioni: un ddl figlio delle stagioni approssimative e disorganiche in materia di Enti locali, il cui unico scopo resta quello di sacrificare all’altare della demagogia il prezioso principio dei costi della democrazia!
prof. Carmine De Angelis, costituzionalista