Pasqua: l’Irpinia a tavola, nel rispetto della tradizione

pasquaUna Pasqua piovosa che tiene fede alla saggezza antica codificata negli antichi proverbi irpini. “Palma nfossa, regna tosta” recitava un antico detto altirpino. Per le nuove generazioni la traduzione è d’obbligo: se piove la domenica delle Palme ci sarà un buon raccolto di grano. La “regna” è senza dubbio uno dei termini ormai assenti dal lessico delle nuove generazioni, la “regna” , il mantello di spighe che i contadini lasciano tra le zolle prima di procedere alla trebbiatura.
Questa Pasqua piovosa trova conferma in un altro proverbio dell’arianese (che reperiamo da un prezioso volume di Tonino Alterio del 1981): “Parma nfossa, Pasqua asciutta”.
Nelle nostre parrocchie brevi processioni hanno arricchito la liturgia della Domenica delle Palme, una consuetudine favorita da una bella giornata .
Semplicissimo, ai limiti della banalizzazione, rovesciare il proverbio: “Parma asciutta, Pasqua nfossa”.
Ma “nfossa” o asciutta che sia, la caratterizzazione religiosa di queste feste pasquali, con la mestizia pensosa dei riti della settimana santa, trova uno straordinario incentivo nella “comparsa” (capolavoro dello Spirito Santo!) di un Papa che sembra possedere tutte le caratteristiche di cui ogni credente sentiva la mancanza.
Il Paraclito ha senza dubbio portato a segno una operazione complessa , partita dalle indiscutibili doti di umiltà e generosità di Papa Benedetto.
La Resurrezione di Cristo e la Resurrezione di una Chiesa che appariva come in difficoltà si sono mirabilmente espresse all’unisono .
Soddisfazione anche in Irpinia, un motivo di gioia per rendere omaggio alle tradizioni di una provincia che si rivela sempre più maestra di gastronomia con le centinaia di pietanze consolidatesi in una storia antica e tutta da studiare e valorizzare.
Si sa che a Pasqua la cucina da fondo a tutte le risorse della fantasia all’insegna di un opulenza che nasceva anche dalla gioia tutta religiosa della Resurrezione anche, perché non dirlo!, quale manifestazione concreta di fine – digiuno e fine – astinenza, in omaggio alle antiche tradizioni della Chiesa.
E se volessimo rappresentare il tutto attraverso una sorta di “analisi” di ingredienti e procedimenti della pietanza-principe della nostra Pasqua irpina, la “pizza chiena”, avremmo la rappresentazione evidentissima di questa esplosione di ottimismo interpretata attraverso la scelta di prelibatezze che confluiscono nello stesso “ruoto” intercettando qualche decina di migliaia di calorie.
Capocollo stagionato, formaggio “scamosciato” (utilizzato nei primissimo giorni della stagionatura), non meno di una dozzina di uova freschissime, formaggio grattugiato , pepe…..
Il tutto viene riposto con cura certosina, fetta su fetta, arricchita dal generoso battuto di uova, su una sfoglia che non sarà mai, in Irpinia, quella , fastidiosamente “brisè” , in uso nella rosticceria napoletana ( ancora un segno delle tante “occupazioni”..).
La sfoglia irpina è pressocchè ottenuta dallo stesso impasto che le nostre nonne preparavano per la panificazione, una sfoglia contadina con una piccola aggiunta di strutto (oggi decisamente l’olio di oliva) , ma con esito molto diverso.
La stessa sfoglia viene utilizzata per la “pizza co’ l’evera”, sapiente scelta di ortaggi, in genere scarole, cardilli e cirifuiogghili , il sempre più prezioso cerfoglio, dal gusto simpaticamente dolciastro che conferisce un tocco di esotica eleganza.
Tutto viene scaldato e insaporito generosamente con olio di oliva e pezzettini di acciughe sotto sale.
E’ la pietanza del giovedì e del venerdi’ santo, pensata per ottemperare senza patemi d’animo, ai precetti della Chiesa.
Ma mentre in questi due giorni ci si astiene dalle carni e da quanto può sembrare superfluo, se non eccessivamente “festoso”, le nostre nonne preparavano “o pastiere ‘e risi”, un dolce povero ma decisamente squisito: riso, uova, zucchero buccia di limone.
Tutto qui , e bastava sostituire allo zucchero il sale perché il composto diventasse uno straordinario rustico.
Oggi la napoletanizzazione della cucina irpina spinge molti a preparare la pastiera di grano, ottenuta utilizzando un composto di grano tenuto in ammollo con raffinatezze orientali, un mix di aromi che non aveva certo diritto di cittadinanza nell’Irpinia contadina dei secoli scorsi.
Ma è comunque un dolce straordinario un arricchimento, se non stesse contestualmente scomparendo la preparazione della vecchia pastiera di riso.
Il pranzo di Pasqua , almeno nell’hinterland della città capoluogo, prevede fusilli al ragù, spezzato di agnello ( pezzi di agnello con uova e qualche pomodoro), agnello al forno, o arrostito su sempre più avveniristici barbecues.
L’antipasto prevede uova scaldate e fette di soppressata tagliate senza troppa preoccupazione di… spessore.
Tutto viene preparato in quantità industriale, quantità tali da ammorbare l’intera settimana “in albis” (decisamente poco “in bianco” a dispetto dell’ espressione presa in prestito dalla liturgia), un’altra settimana di passione durante la quale occorre sentire l’obbligo di far fuori il superfluo…..
Poi la vita riprende, si torna alle discusse “statine” per far fronte al colesterolo, l’Italia, con qualche fastidioso Grillo….. per la testa, riprende il cammino nel terrore di un futuro mai così cupo.
La settimana Santa continua.
In attesa di una Resurrezione che si carica di pensieri inquietanti sui mille fronti di una crisi senza precedenti.

Antonio Polidoro