Scuola di Legalità – Quinto appuntamento con il Pm Troncone su mafia e donne

La relazione che intercorre tra mafia e donne è stata sempre molto complessa anche perché lo stesso ruolo delle donne all'interno delle cosche è cambiato.

legalitàAvellino – Le donne e la mafia: sottomesse, aiutanti, capi clan e collaboratrici di giustizia. La relazione che intercorre tra mafia e donne è stata sempre molto complessa anche perché lo stesso ruolo delle donne all’interno delle cosche è cambiato.

Il pm Maria Antonietta Troncone del Tribunale di Nola ha spiegato ai ragazzi durante la quinta lezione della Scuola di Legalità il nesso tra le organizzazioni criminali e le donne.

In un primo momento la figura femminile veniva completamente subordinata a quella maschile: il potere era dell’uomo. Lui decideva tutto: le strategie e gli obbiettivi del clan mafioso, alla donna era riservata tutta la sfera familiare. In un secondo momento, che il Pm chiama ‘fase di supplenza’, che si riferisce a quando le donne sostituivano temporaneamente l’uomo capo clan, si vede un potere femminile temporaneo e delegato. Si trattava, in sintesi, di un potere comunque stabilito dal potere maschile.

In una terza fase, c’è la volontà da parte delle donne coinvolte nel mondo mafioso di ribellarsi e voler riavere la propria libertà. Qui il Pm introduce la figura della collaboratrice di giustizia. Nel corso degli anni si è cercato di capire cosa spinge una donna nata in un ambiente mafioso a collaborare con i magistrati.

Troncone dà tre motivi: per vendetta, ovvero, per potersi riscattare da un recente lutto. Per proteggere i propri cari da possibili morti o rapimenti ed infine per avere maggiore libertà, dal momento che è arcinoto che il mondo mafioso è molto tradizionale. Pertanto, anche quando la donna è consapevole dell’attività del compagno o marito viene comunque subordinata e non partecipa attivamente alla vita mafiosa del coniuge.

Troncone ha ricordato molte donne vittime di mafia ed anche collaboratrici di giustizia: prima fra tutti Francesca Morvillo, magistrato e moglie di Giovanni Falcone, Lea Garofalo, tradita dal compagno perché collaboratrice di giustizia. La Garofalo fu rapita, uccisa e sciolta nell’acido. Tale gesto per la Troncone è molto importante. “C’è la voglia di annientare completamente quella persona – afferma il Pm – pertanto non si vuole neanche lasciare una traccia fisica del traditore. Quando un membro della cosca inizia a collaborare con i giudici c’è una rottura con l’organizzazione criminale e vengono divulgate le informazioni più intime del clan.”

Altri esempi sono Rita Atria, a cui la mafia ha tolto padre e fratello ed Emanuela Loi, unica donna della scorta di Paolo Borsellino nella Strage di via D’Amelio.

 

 

Source: www.irpinia24.it