Incontro con lo scrittore Diego Nuzzo: quando l’eclettismo è questione di carattere
Diego Nuzzo, ormai noto scrittore napoletano, nasce nel 1966. Compie il suo esordio letterario nel 1995 con “I silenzi abitati delle case” (Loffredo editore) e conferma il suo talento con l’ultimo romanzo “Come se non fosse successo niente” (Rogiosi editore), le cui vendite lo hanno promosso sin da subito come il caso letterario del momento. Pubblicitario, architetto, scrittore sono solo alcune delle sfumature della sua eclettica figura, nota agli amici anche per le eccellenti e gustose marmellate artigianali che prepara. Ha creato il Penguin Café, salotto culturale che per anni ha sfornato eventi dall’alto valore artistico. Un luogo dove l’anima del proprietario si rispecchiava in tutto, dall’arredamento agli spettacoli, dai libri alle mostre. Oggi Diego Nuzzo apre una finestra del suo mondo, parlando di sé e del suo libro ai suoi lettori.
1- Partendo dalla tua biografia emerge il ritratto di una persona piena di interessi e passioni. Il tuo curriculum vanta esperienze in vari campi: pubblicitario, scrittore, architetto, organizzatore di eventi culturali, creatore e anima del Penguin Café. Quale di queste esperienze ti ha portato maggiori soddisfazioni?
La prima volta che ascoltai Keaton di Francesco Guccini pensai che finalmente eravamo stati sdoganati. Noi che mutavamo lavoro ogni tanto, noi che ci reinventavamo la vita ad ogni cambio di stagione, noi che non avevamo paura di non sapere mai cosa avremmo fatto da grandi. Ascoltare “dobbiamo farne di mestieri, noi che viviamo della nostra fantasia” mi fece pensare che in fondo non tutto fosse sbagliato. Le soddisfazioni sono arrivate un po’ da tutte le avventure. E, probabilmente, ognuna di queste è strettamente correlata all’altra, in ognuna ho messo un pizzico dell’esperienza maturata nelle altre. E in tutte ho cercato di mettere un po’ di gioco e di non prendermi mai troppo sul serio.
2- Da pochi mesi è uscito il tuo secondo romanzo “Come se non fosse successo niente” a distanza di circa 20 anni dalla tua prima opera letteraria “I silenzi abitati delle case”. Questa attesa è frutto di una lunga gestazione?
In cima alla lista dei difetti per cui, in ottima compagnia, finirò all’inferno c’è di certo l’accidia. Una pigrizia atavica, un riuscire a completare un lavoro solo a pochi minuti dalla scadenza, una pervicace tendenza a rinviare fino al limite estremo ogni impegno. Non vedo perché la letteratura non dovesse rispondere a questa logica perversa. Se a questo uniamo una crudele e, visti i risultati, ingiustificata attitudine al perfezionismo, il quadro è completo.
3- “Come se non fosse successo niente” ha avuto subito un grande successo, risultando anche il libro più venduto presso la Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli per diverse settimane. Ti aspettavi esiti così fortunati?
Essendo pubblicato da un piccolo editore indipendente, senza la potenza di fuoco delle grandi catene editoriali, il, relativissimo, successo del libro è nato soprattutto grazie al “passaparola”, a chi il libro lo ha letto, lo ha amato e lo ha consigliato. E, in questo, i social network hanno avuto un ruolo rilevante. Poco dopo l’uscita del romanzo alcuni amici hanno cominciato a condividere, sui loro profili Facebook, autoscatti con il libro tra le mani o foto del volume in primo piano con, sullo sfondo, i luoghi più diversi della terra. Dalla Nuova Zelanda a Parigi, da Venezia a Città del Messico un po’ come il nano da giardino che “viaggiava” ne Il favoloso mondo di Amélie. In breve la “moda” è diventata virale e anche perfetti sconosciuti si sono uniti al coro. Al punto che il Corriere del Mezzogiorno ha pubblicato un articolo sul fenomeno. Non mi aspettavo che diventasse un po’ un piccolo “caso editoriale”. Ma sono contento di questo modo schietto e genuino di avere riconoscimento: attraverso i lettori che hanno identificato quel libro come vicino alla loro sensibilità e hanno sentito l’esigenza di trasmettere agli altri questo piacere.
4- Questo tuo romanzo parla per voci di donne. Infatti sono tre donne le principali protagoniste di quel patchwork di umanità che si ritrova tra le pagine di “Come se non fosse successo niente”. Come riesce un uomo a dar voce, nella maniera così sincera e profonda che ti ha contraddistinto in questo libro, a questi tre personaggi?
Alcuni tra i romanzi migliori della storia della letteratura nascono da questa specificità. Si parva licet l’imperatore Adriano era narrato in prima persona dalla signora Yourcenair, Madame Bovary mirabilmente descritta da Flaubert, il ragazzino Holden Caulfield ci parlava grazie a Salinger che non aveva certo diciassette anni. È la sospensione del dubbio, che in semiotica ci impone di mettere da parte l’incredulità per le possibili incongruenze (come, ad esempio, una splendida libraia poco più che trentenne che parla grazie al suo creatore un cinquantenne maschio pingue…) a vantaggio del godimento di un’opera di fantasia. Quando ammiriamo Montserrat Caballé cantare la Madama Butterfly non ci chiediamo come faccia un’attempata spagnola sovrappeso a essere credibile nei panni di una geisha quindicenne. Ascoltiamo la bellezza della sua voce sulla note di Puccini e sospendiamo, temporaneamente, la nostra incredulità.
5- Il filo conduttore che lega le diverse anime dei personaggi è l’amore per i libri. La tua passione per i libri è molto nota negli ambienti culturali napoletani e non solo. Per questo penso sia stato facile per te fare, in questo libro, una dichiarazione di amore così viscerale e autentica per la scrittura e per la lettura. Ma come è stato affrontare nelle ultime pagine del romanzo l’amore tra Clara e Maddalena? Dalle tue parole emerge una forma di amore davvero pura e delicata, ma che dona spazi profondi di riflessione soprattutto in riferimento ai diritti delle coppie omosessuali. Era intenzionale questa spinta alla riflessione?
I libri sono il centro della narrazione. L’oggetto libro non è il pretesto per narrare le vicende dei protagonisti ma il vero deus ex machina della vicenda. È una manifesta dichiarazione d’amore, nell’epoca del 2.0, verso quegli strani oggetti cartacei. Sia ben inteso: non voglio in alcun modo oppormi alla digitalizzazione del libro per una molteplicità di ragioni. In primo luogo perché non intendo fare la figura del bambino che tura la falla nella diga con un dito; e poi perché avere a disposizione tutte le opere di Shakespeare, quelle di Čechov, di Dickens e di centinaia di altri autori conservati e disponibili in un oggetto di 18 x 24 centimetri, la trovo una grande comodità. Spero solo che i libri cartacei continuino a convivere con il digitale e che sia consentito ancora in futuro a quei tanti fanatici un po’ fané di scambiarsi libri ed emozioni. Per quanto riguarda l’amore tra due delle protagoniste credo che tutto il libro, dalla prima all’ultima pagina, sia intriso di una a volte manifesta altre più sottile richiesta di dignità per tutti indipendentemente dalle scelte che ognuno di noi fa nella vita. Dignità piena per i diritti civili, per una morte decorosa, per la libertà per ogni persona di vivere la vita nel modo più vicino “all’idea che ha di se stessa”.
6- Da bambino, Diego Nuzzo cosa sognava di diventare? E oggi i suoi sogni possono dirsi realizzati?
Sognavo di fare l’architetto. Disegnavo case con i tetti spioventi e non visi di persone. Vivevo in una famiglia dove mi hanno insegnato l’attenzione e la cura per lo stile: nella stanza dei giochi da bambino avevo già uno sgabello di Vico Magistretti e una lampada di Joe Colombo. Direi che mi è andata bene. Ho fatto l’architetto per quindici anni e ho avuto grandi soddisfazioni dalla professione: non ho avuto mai padroni, ho avuto la fortuna di avere quasi sempre committenti illuminati e sensibili e la realizzazione di vedere i miei progetti pubblicati su tante riviste. E, soprattutto, di osservare la gente che viveva nelle case che progettavo felice di abitare negli spazi che avevo ideato per loro. E questa è la soddisfazione più grande.
7- Per il futuro cosa ci riserverai? Bolle già qualche nuovo progetto in pentola?
Quando ho pubblicato il mio primo romanzo quasi vent’anni fa ebbi un gratificante successo di critica per un esordiente. Fui segnalato su diverse riviste e il grande Angelo Guglielmi scrisse una lunga recensione su L’Espresso assolutamente lusinghiera. Mi aspettavo di diventare uno scrittore tradotto in tutto il mondo e di vincere il Nobel di lì a pochi anni. Naturalmente ciò non accadde. Adesso, a quasi cinquant’anni, posso permettermi il lusso di essere più disincantato e godermi la passeggiata. E scrivere una pièce teatrale, un romanzo storico, un saggio sul cinema a Napoli. E non aspettarmi nulla da nessuna delle tre sfide.
(Foto copertina: Mario Gelardi – Foto in alto: Giancarlo De Luca)
di Davide MARENA