Violenza sulle donne, le parole di Nardone (SEL Media Valle del Calore)
Avellino - La recente approvazione del D.L. 14.08.2013 n. 93, convertito in legge e balzato agli onori della cronaca con l’etichetta di “Decreto anti-Femminicidio”, rappresenta certamente un segnale importante sul piano culturale: il testo normativo è indice di una maggiore sensibilità ed attenzione della politica rispetto ad un fenomeno tanto odioso quanto diffuso. Seicento milioni di donne è vittima di violenze nel mondo. Una popolazione maggiore a quella di tutta l’Europa. Alla crescita di attenzione e di sensibilità rispetto al fenomeno, non ha corrisposto, tuttavia, un intervento normativo pienamente soddisfacente.
Come spesso accade a seguito del susseguirsi di fenomeni criminali di allarme sociale che destano sconcerto e accendono dibattiti nell’opinione pubblica, il Governo ha ritenuto di intervenire utilizzando lo strumento della decretazione d’urgenza. Il testo normativo appare piuttosto “eterogeneo”: con specifico riguardo al contrasto della violenza di genere, il decreto tenta di rendere più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale ed atti persecutori, attraverso una serie di modifiche del codice penale e di procedura penale e l’introduzione di alcune misure di prevenzione per condotte di violenza domestica. Secondo un’impropria ma consolidata abitudine, strumentalizzando un tema importante e delicato qual è quello della violenza di genere, sono state introdotte nel testo normativo disposizioni concernenti materie assolutamente diverse.
Ne è risultato un testo disorganico e disomogeneo, che accanto alle norme in tema di femminicidio, ha apportato modifiche ad alcuni reati contro il patrimonio, ha introdotto norme in materia di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e ha introdotto disposizioni in materia di Protezione Civile e di Provincie.
Le reazioni del “mondo giuridico” non si sono fatte attendere e non sono state del tutto benevoli, evidenziando le forti criticità del testo normativo, sia sul piano formale che su quello sostanziale. Eppure non possiamo arrenderci all’idea dell’ennesima occasione mancata e dobbiamo cogliere dalla vicenda quello che di positivo pure si può cogliere: l’aver richiamato l’attenzione delle istituzioni e delle Alte Cariche dello Stato sul tema. Sarà necessario non disperdere questa importante presa di coscienza, sollecitando interventi ulteriori e più efficaci e formulando proposte costruttive. Al riguardo, un dato è imprescindibile: il problema della violenza di genere non è un problema di ordine pubblico, è un problema culturale. la categoria criminologica del “femminicidio” ha introdotto un’ottica di genere nello studio di crimini “neutri” e ha consentito di rendere visibile il fenomeno, per spiegarlo e potenziare l’efficacia delle risposte preventive, oltre che punitive. Il tema della violenza contro le donne ha solo come punta emergente la tragica statistica delle uccisioni, ma riguardatutte le forme di discriminazione e violenza in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà, non soltanto fisicamente, ma anche nella sua dimensione psicologica, nella socialità e nella partecipazione alla vita pubblica. Si fa riferimento ad una realtà complessa, che investe la struttura della famiglia, le relazioni di coppia e il modo di essere delle relazioni fra uomini e donne nella società contemporanea, una società in profonda crisi economica e di valori. Il tema, dunque, richiede di essere affrontato in modo maggiormente articolato e completo, attraverso interventi normativi più organici che, oltre ad incidere sui sistemi e gli strumenti punitivi, favoriscano forme di prevenzione e di emancipazione culturale, rispetto a stereotipi sessisti e sovrastrutture ideologiche di tipo patriarcale che ancora resistono. La strada è quella di promuovere, anche nelle scuole, nuovi modelli culturali, favorire percorsi di educazione e formazione, potenziare i centri antiviolenza (sempre a rischio chiusura per mancanza di fondi) e perfezionare il sistema dei centri di ascolto e delle case rifugio. Fondamentale, al riguardo, il dialogo tra gli operatori del settore e l’impegno delle Istituzioni di ogni livello ed in particolare dei Comuni, nella loro qualità di enti più prossimi ai cittadini e più sensibili alle relative esigenze, nell’attivazione di percorsi di formazione e di accoglienza.
Certo si è di fronte ad un difficile banco di prova, ma ogni passo avanti, su questo fronte, non potrà che rappresentare un importante traguardo di civiltà giuridica per il Paese e un’imperdibile occasione di crescita sociale.