Avellino – La nocciola d’Irpinia verso l’IGP
Carlo Mazza: "Non solo un trionfo per tutta l'Irpinia, ma anche una grossa economia per tutti i produttori"
Questa mattina, presso la sala “Blu” del Carcere Borbonico di Avellino, il Comitato Promotore per il riconoscimento “Nocciola d’Irpinia IGP”, rappresentato dal presidente Carlo Mazza e sostenuto dalle associazioni Cia, Confcooperative, Confagricoltura e Acliterra e dall’Ordine degli Agronomi di Avellino ha presentato la documentazione disciplinare di produzione redatta per il riconoscimento della “Nocciola d’Irpinia IGP”, documentazione realizzata a supporto dell’istituzione del marchio IGP, il cui processo di riconoscimento ha visto il contributo Tecnico-Scientifico del Prof. Giuseppe Celano per l’Università degli Studi di Salerno e della Dott.ssa Maria Grazia Volpe per l’Istituto di Scienze dell’Alimentazione Consiglio Nazionale delle Ricerche – Avellino.
L’onore di aprire la conferenza è toccato ovviamente al presidente del Comitato Promotore IGP “Nocciola d’Irpina”, Carlo Mazza, che ha dichiarato «Oggi arriva il premio di un lavoro iniziato tre anni fa, con un gruppo di persone che anche durante la pandemia non ha smesso di lavorare. Il primo step è stato presentare la domanda sia al ministero che alla Regione, con un dossier di 216 pagine. Il CNR di Avellino ci ha fatto le analisi per due anni, sia scientificamente che tecnicamente, e possiamo dire che la nostra nocciola è una delle migliori al mondo, carte alla mano. Tanto è vero che la Ferrero usa le nostre nocciole per i suoi prodotti. È un tesoro da preservare, e quando verrà dato questo riconoscimento dalla Comunità Europea sarà non solo un trionfo per tutta l’Irpinia, ma porterà anche una grossa economia per tutti i produttori.»
Tra i rappresentanti delle associazioni presenti vi era anche Antonio Capone, il presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Avellino, che ha aggiunto «Il disciplinare previsto è molto ampio ed è inclusivo. È un area molto ampia che mette insieme 140 comuni, non solo irpini, dato che c’è una fascia a latere dell’Irpinia che vede la partecipazione e la presenza di aree di altre provincie che da sempre fanno parte del comprensorio che noi definiamo comunque dell’Irpinia. Di queste aree fanno parte, oltre il Sannio, l’area della vicina Napoli e della vicina Salerno, escludendo la parte dell’IGP Giffoni, e una piccola parte del casertano.
Mediamente si parla di 3/4 anni per ottenere questa certificazione, e noi chiediamo alle istituzioni di sostenere questo progetto. È fondamentale in un momento di grossa crisi e difficoltà dare un marchio e un identità territoriale, che spetta di diritto a questa area. Le ricadute economiche sono assolutamente positive, pensate che in questo momento l’area individuata ha una PV, una produzione vendibile che si aggira intorno ai 40 milioni di euro. Dare un marchio e un identità territoriale dà la possibilità di elevare il prodotto, di valorizzarlo, e di dare la possibilità di tracciare meglio la nocciola, in modo che anche il consumatore finale potrà, in questo modo, scegliere in modo più accurato e più attento il prodotto che va ad acquistare.
Questo è un primo step per il riconoscimento della nocciola Irpinia, si è partiti tre anni fa e oggi siamo qui a presentare questo riconoscimento che è un punto di partenza, e non un punto di arrivo.»
Presente anche Alessandro Mastrocinque, presidente regionale della Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) della Campania, che ha aggiunto «Questo è un momento molto importante per il riconoscimento di un prodotto che è un eccellenza per il nostro territorio, e questo è importante per due ordini di fattori. Uno per dare un identificazione al territorio, che è vocato per questo tipo di produzione, e sostanzialmente l’altra cosa, che ci interessa più da vicino, è che attraverso questo percorso noi riusciamo a dare un reddito maggiore alle aziende che si sono impegnate. Ci sono molte opportunità di sviluppo in questo settore, la nocciola deve essere un prodotto trainante per questo territorio, e noi come Cia Campania metteremo in campo tutte le energie possibili, perché sappiamo bene che alla fine il valore aggiunto viene spostato su altri fattori e non resta sul territorio, mentre l’IGP a noi serve, oltre che a dare un valore al territorio, per dare un valore alle aziende produttrici che da sempre si impegnano. Se oggi noi parliamo di IGP della nocciola è perché ci sono dell aziende lungimiranti che hanno creduto in questo progetto e che hanno sviluppato un percorso di produzione. La mission deve essere che il valore e la redditività delle aziende, attraverso questo percorso, devono essere molto più alte di quello che sono oggi.»
Per la parte tecnica, invece, c’è stato l’intervento della Dott.ssa Maria Grazia Volpe, membro dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Avellino, che ha dichiarato «Siamo giunti ad un parziale risultato con la sottomissione della richiesta del marchio IGP per la nocciola irpina. Io, in quanto ricercatrice del CNR di Avellino, mi sono occupata delle caratteristiche chimico-nutrizionali e farmaceutiche delle varie nocciole presenti nel nostro territorio. Ho collaborato con il presidente Mazza e con gli altri componenti del tavolo tecnico-scientifico per evidenziare peculiarità e caratteristiche delle nostre coltività locali. Nello specifico, abbiamo evidenziato un alto contenuto di acidi grassi poli insaturi, in particolare la mortarella, un alto contenuto di acido linoleico che sono i cosiddetti “acidi grassi buoni”, un alto contenuto di proteine, maggiore del 16% che è assolutamente un pregio, molta fibra, e mancanza di ossidazione lipidica durante la conservazione, dovuto all’alto contenuto di polifenoli presenti che contrastano i processi ossidativi nel corso della conservazione. Per un consumatore questo è molto importante perché vuol dire che introduciamo componenti antiossidanti, acidi grassi buoni, molta fibra che è importante per il benessere dell’intestino e della flora intestinale, e molti macroelementi positivi come il potassio e il magnesio, e soprattutto introduciamo la tracciabilità di un territorio, che non è da sottovalutare.
Un prodotto tracciato di qualità, che si conserva bene nel tempo e che possiamo dare al consumatore con tutte le informazioni nutrizionali può creare una filiera locale assolutamente di pregio.»