“L’Altro siamo noi” – Il dialogo e la partecipazione come strumento d’inclusione
Don Emilio Carbone spiega le motivazioni per cui la sua comunità si espressa negativamente all'arrivo dei migranti, il razzismo è altrove
Avellino – Le parole sono pericolose, basta una virgola a mutarle di senso e significato. Cosa sta succedendo per quanto riguarda la faccenda migranti in città? In quanti stanno catalizzando l’attenzione sulla questione e quanti altri stanno mettendo in moto un meccanismo equivalente ad una spirale tra odio, chiusura, arroganza e discrimine? Quanto è stato sollecitato questo atteggiamento di rifiuto dell’altro generalizzato, da informazioni solo in apparenza veritiere? Si descrivono come “mostri” coloro che stanno rifiutando altri ipotetici “mostri”. Siamo all’assurdo. E quello che sfugge a me, ma credo a tutti gli occhi più o meno oggettivi che approcciano alla stampa per comprendere cosa gli succede intorno e non per fare gossip, è il perché si estremizza in questo modo così a tratti squallido.
Sembra una gara a chi la spara più grossa. Se si prestasse più attenzione agli strumenti con cui accogliere queste persone, a farne arrivare un numero congruo con la possibilità di occuparsene dignitosamente, a potenziare una sinergia fra comune e Prefetto e ad implementare una comunicazione funzionante e funzionale fra l’amministrazione e la città, probabilmente le persone non avrebbero timore ad includere estranei nella propria comunità. Potrebbero diventare un valore aggiunto, sia a livello culturale che sociale, ma è necessario combattere con i fatti gli stereotipi che rifugiati e immigrati si portano dietro. Creare allarmismi per seminare panico, atti intimidatori e soprattutto paura è una tattica che il potere utilizza per muovere le nostre fila come burattini. Questa logica si combatte con la conoscenza, con intelligenza e se la stampa o chi per essa non vi racconta i fatti come sono, provate a porvi delle domande e siate curiosi. Autodenuncia? No, sollecito a fare da sé e a non dare sempre per buono ciò che mi si racconta.
E’ il caso di Don Emilio Carbone, il parroco di Costantinopoli, colui il quale ha un rapporto stabile e costante con la comunità che dovrebbe accogliere questi nuovi immigrati. Don Emilio ha espresso la sua opinione, che è molto meno “razzista” di quanto gli hanno imputato molti, si sofferma su molti aspetti sottolineando la necessità di rispettare la dignità di chi accoglie e di chi arriva. “Viviamo in un degrado spaventoso – dichiara Don Emilio – decine e decine di famiglie che da 37 anni vivono nei tuguri dei prefabbricati pesanti a Rione Parco e si adoperano per delle iniziative come l’accoglienza dei senzatetto. Queste famiglie si interrogano, come mi interrogo anche io, di come si arriva ad una decisione del genere indipendentemente dal luogo dove vengono sistemati questi giovani. Accoglienza si, cento volte si, però con dignità. Se si invoca un’ accoglienza in una comunità - conclude il parroco – mi chiedo perché non sollecitare un confronto al di là della decisione legittima delle istituzioni”.
Queste affermazioni aprono un’altra voragine, il punto di vista personale di una popolazione che non si vede l’amministrazione accanto nell’affrontare problematiche quotidiane, come il diritto alla casa, ad un lavoro più o meno stabile, a un sussidio contro la povertà, a politiche giovanili di un certo calibro. Il nodo della questione è garantire diritti ai cittadini per poi metterli nelle condizioni di poter ospitare senza recriminazioni e senza la paura di dover dividere diritti negati.
Di Serena Ferrara