Spread, Marrone: ora banche investano su Pmi
Il responsabile nazionale Zes: «Credito a realtà sane per bilanciare dazi»
«Lo spread ai minimi da quindici anni è un dato che fa sorridere i mercati e rassicura Bruxelles. Ma fuori dai palazzi, nelle piccole e medie industrie italiane, la fiducia non si misura in punti base: si misura in credito accessibile, in investimenti sostenuti, in piani di crescita finanziati.
Il sistema bancario non può limitarsi a incassare i dividendi di un Paese percepito più solido. Deve tradurre quello spread favorevole in linee di garanzia per le imprese che esportano, innovano, assumono. La vera sfida è trasformare la rendita finanziaria in ossigeno per il tessuto produttivo, non in margini da bilancio».
A dirlo è Raffaele Marrone, presidente di Confapi Napoli e responsabile nazionale Zes per Confapi.
«Le PMI italiane hanno dimostrato una resilienza che nessun algoritmo poteva prevedere. Eppure sono oggi schiacciate da due zavorre: i dazi che comprimono la competitività internazionale e le regole cervellotiche del Green Deal europeo che creano incertezza e paralizzano gli investimenti, come dimostra la crisi dell’automotive. In questo scenario la fiducia dei circuiti creditizi diventa decisiva, perché senza finanza l’industria resta immobile e perde terreno sui mercati globali».
Marrone aggiunge: «Serve un cambio di paradigma: le banche devono tornare a scommettere su chi produce, con la stessa fiducia che i mercati stanno riconoscendo all’Italia. Altrimenti lo spread basso resterà un numero da presentazione, buono per le slide ministeriali ma sterile per l’economia reale. E il capitale della fiducia, se non trasferito alle imprese, rischia di evaporare senza mai diventare crescita».