Dazi USA, un colpo al Made in Italy
Auto, farmaceutica e food rischiano di pagare il prezzo più alto
L’Italia è un Paese che vive – e prospera – grazie all’export. Nei primi tre mesi del 2025, nonostante le turbolenze internazionali, le esportazioni italiane hanno raggiunto i 160,1 miliardi di euro, con una crescita del +3,2% in valore rispetto allo stesso periodo del 2024. Una buona notizia, certo, ma che va letta con attenzione: il volume delle esportazioni è in calo del 1,6%, segno che stiamo esportando meno a prezzi più alti, e che la nostra competitività reale è sotto pressione.
In questo scenario, tre settori chiave del Made in Italy si trovano oggi in una posizione particolarmente delicata: automotive, farmaceutica e agroalimentare. Se il comparto farmaceutico ha fatto registrare un eccezionale +41,9%, e i mezzi di trasporto (esclusi autoveicoli) un +21,2%, è preoccupante il dato relativo agli autoveicoli finiti, in calo del 12,2%. Segnale chiaro che, nel mezzo della transizione ecologica e delle nuove direttive internazionali, le imprese italiane dell’auto rischiano di restare indietro, schiacciate tra costi eccessivi e dumping industriale.
Particolarmente emblematico è il caso del settore agroalimentare, uno dei più rappresentativi del nostro Paese all’estero. Il 2024 si è chiuso con un export record da oltre 70 miliardi di euro, mentre nei primi tre mesi del 2025 l’export di food & beverage è cresciuto del +5,5%, con i prodotti agricoli al +8%. Gli Stati Uniti rappresentano circa il 12% dell’export agroalimentare italiano, e nei primi due mesi del 2025 le nostre esportazioni food verso gli USA sono cresciute dell’11%, anche a causa dell’anticipazione degli ordini per timore dei dazi.
Ma proprio da qui nasce l’allarme: la reintroduzione di dazi americani +15 % su formaggi, conserve, pasta e vino rischia di azzerare la crescita e mettere in ginocchio migliaia di PMI, soprattutto nelle filiere di qualità. Coldiretti stima perdite potenziali per oltre 2,3 miliardi di euro in caso di piena applicazione delle misure tariffarie.
Secondo una stima del nostro Centro Studi, le nuove tariffe potrebbero causare perdite economiche fino a 22,6 miliardi di euro per l’Italia, tra i maggiori esportatori di prodotti verso gli USA. Finora erano in vigore dazi del 10% per le merci europee, dopo la momentanea sospensione da parte di Donald Trump delle tariffe doganali del 20% annunciate lo scorso 3 aprile in occasione del «Liberation Day». Nelle scorse settimane, però, il Presidente USA aveva minacciato di portare le tariffe al 30% nel caso in cui non si fosse trovato un accordo con l’UE.
Il problema è che, nella pratica, le tariffe del 15% avranno un impatto molto più alto di quello che potrebbe sembrare a causa della svalutazione del dollaro.
Dall’insediamento di Donald Trump, infatti, il valore del dollaro come moneta ha iniziato a indebolirsi, arrivando a una svalutazione complessiva del 13% da inizio anno anche a causa dell’instabilità economica e politica generata dal Presidente USA. Ma che cosa significa tutto questo? La svalutazione del dollaro rispetto all’euro, che ora è più forte, fa sì che il costo dei beni italiani esportati negli Stati Uniti aumenti ulteriormente, rendendoli ancora meno competitivi.
Secondo le stime, per gli esportatori italiani l’impatto complessivo di queste nuove tariffe potrebbe arrivare a un’aliquota del 21%, ben 6 punti percentuali in più rispetto alla tariffa stabilita all’accordo.
Non si tratta solo di bilanci aziendali, ma di identità produttiva, occupazione, territori. L’Italia ha costruito la propria reputazione globale proprio sulla qualità dei suoi beni: è inaccettabile che una strategia geopolitica protezionistica, avviata oltreoceano, possa minacciare senza risposta i risultati di intere filiere produttive.
Sarebbe ingenuo pensare che basti “resistere” o sperare in una retromarcia americana. Al contrario, serve una reazione istituzionale e industriale rapida. In particolare:
- Va attivato un tavolo bilaterale Italia–USA, all’interno della cornice UE, per scongiurare l’escalation dei dazi e tutelare i settori strategici del Made in Italy.
- Va istituito un Fondo nazionale anti-dazio per compensare le perdite delle imprese esportatrici colpite da barriere doganali.
- Occorre inserire agroalimentare, farmaceutica e automotive nel Piano Nazionale del “Made in Italy Strategico”, con misure strutturali: incentivi fiscali, promozione internazionale, accesso al credito, difesa dei marchi storici, contrasto all’Italian sounding.
L’export italiano resta forte, ma mostra segni di vulnerabilità. Non possiamo più affidarci solo al prestigio del brand Italia. Serve una strategia industriale di lungo periodo, unita a strumenti rapidi per fronteggiare le crisi commerciali e tariffarie. Se non agiamo subito, i dazi americani rischiano di diventare una ferita aperta per l’intero sistema Italia.