Tirocini non retribuiti
De Palma: «Non possiamo più accettare che esistano professioni di serie A e di serie B»
Non si può continuare a ignorare l’evidente squilibrio e la pesante condizione di iniquità ad oggi esistente tra chi riceve un concreto supporto economico nel proprio percorso formativo e chi, come gli studenti delle professioni sanitarie non mediche, in primis infermieri e ostetriche, deve affrontare il peso di tirocini obbligatori senza retribuzione, senza diritti, senza riconoscimento contributivo.
Il tema è tutt’altro che nuovo, ma drammaticamente irrisolto: una risoluzione approvata dal Parlamento Europeo nel marzo del 2024 ha condannato in modo netto e inequivocabile la pratica degli stage non retribuiti, definendoli “una forma di sfruttamento” e un “attentato alla dignità dei giovani lavoratori”. Un campanello d’allarme, rimasto purtroppo inascoltato.
Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, rilancia una questione su cui il sindacato si era già espresso con forza nel recente passato:
«Non siamo più disposti a tollerare una formazione universitaria che, per alcune professioni, è sinonimo di opportunità e tutele, e per altre è soltanto fatica e precarietà. Un infermiere o un’ostetrica in formazione contribuiscono attivamente alla tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, coprendo spesso carenze strutturali. Eppure, nessuno li tutela. Nessuno li sostiene economicamente. Nessuno li considera titolari di un diritto al riconoscimento contributivo per il lavoro che svolgono durante il tirocinio clinico».
La situazione è ancora più grave se si considera che in altri Paesi europei – Germania e Francia in primis – sono già attivi da anni sistemi che prevedono una retribuzione per i tirocinanti, anche nel settore sanitario. Da noi, al contrario, si continua ad assistere alla sistematica esclusione di intere categorie da ogni forma di sostegno pubblico, anche laddove si parla di professioni sanitarie universitarie, regolamentate dalla legge 251/2000 e strategiche per il futuro del SSN.
L’Italia è quintultima in Europa per numero di laureati in infermieristica: nel 2020 erano soltanto 17 ogni 100.000 abitanti, mentre la media UE viaggia su ben altri numeri. Paesi come Malta, Ungheria e soprattutto la Svizzera (112 laureati per 100mila abitanti) hanno investito in formazione molto più della Penisola, che tra il 2010 e il 2020 è rimasta sostanzialmente ferma.
«Non è solo una questione economica – prosegue De Palma –. È un tema di dignità professionale, equità previdenziale e rispetto del principio di parità tra i lavoratori. Non possiamo più accettare che il riscatto degli anni universitari o dei tirocini clinici venga concesso a una parte dei laureati in area sanitaria e negato ad altri. Se davvero crediamo nella valorizzazione di tutte le professioni, allora il trattamento deve essere equo per tutti».
Oggi più che mai, mentre il sistema sanitario affronta una grave crisi di vocazioni e un preoccupante calo di iscrizioni ai corsi di laurea in infermieristica (oltre il 50% di iscrizioni in meno dal 2010), queste disuguaglianze rischiano di rendere ancora più fragile l’intero comparto.
«Serve un intervento strutturale – conclude De Palma –. Non bastano più promesse, comunicati e buone intenzioni. Chiediamo l’apertura immediata di un tavolo tecnico interministeriale che affronti in modo organico il tema del riscatto agevolato della laurea per tutte le professioni sanitarie e il riconoscimento contributivo dei tirocini clinici obbligatori. Non per creare privilegi, ma per rimuovere un’iniquità profonda che dura ormai da troppo tempo».
Il tempo del silenzio è finito. Ora servono risposte. E soprattutto, servono fatti.