Fecondazione assistita: il 50% delle donne migliora al secondo tentativo
"Il primo ciclo negativo non preclude il successo futuro"
Un esito negativo al primo ciclo di procreazione medicalmente assistita (PMA) non rappresenta un ostacolo determinante per il successo di un secondo tentativo. Anzi, intervenire tempestivamente può aumentare di molto le probabilità di ottenere un embrione vitale e una gravidanza a termine. Lo dimostra uno studio scientifico condotto su oltre 1.200 coppie di aspiranti genitori: a presentarlo i ricercatori del gruppo Genera, che in Italia conta 7 centri specializzati su tutto il territorio nazionale, al 41esimo congresso della Società europea di Riproduzione umana ed embriologia (Eshre) in corso a Parigi.
Secondo gli ultimi dati del Registro PMA dell’Istituto superiore di sanità, sono quasi 88.000 le coppie italiane che sono ricorse alla Procreazione medicalmente assistita nel 2022, in aumento rispetto alle circa 86.000 del 2021 (un aumento del 2,3% anno su anno).
I bambini nati grazie all’impiego di queste tecniche sono 16.718, pari al 4,3% del totale dei bambini nati nel 2022 (393.333 nati vivi, Fonte: Istat), in aumento di circa lo 0,5% rispetto ai 16.625 del 2021.
La ricerca ha voluto rispondere a una domanda cruciale per molte coppie che si trovano ad affrontare un percorso di procreazione medicalmente assistita: il fallimento di un primo ciclo di trattamento condiziona negativamente le possibilità di successo di un secondo tentativo? I dati raccolti sembrano indicare il contrario: i risultati del secondo ciclo sono indipendenti dagli esiti del primo. “Spesso sono le pazienti stesse a tirare le somme sulla base della loro esperienza – spiega il dott. Alberto Vaiarelli, ginecologo e responsabile medico-scientifico del centro Genera di Roma – pensando che se nel primo tentativo sono stati ottenuti, ad esempio, solo embrioni cromosomicamente anomali, allora anche i prossimi lo saranno. Abbiamo voluto dimostrare con evidenze scientifiche che gli esiti clinici del primo ciclo non predicono quello che succederà dopo. L’unica vera strategia efficace che abbiamo è procedere con una nuova stimolazione ormonale senza perdersi d’animo e il nostro studio ci dimostra che prima la si fa, maggiori sono le probabilità di successo”.
Lo studio retrospettivo ha incluso 1.286 secondi cicli di PMA eseguiti tra il 2015 e il 2021, con un’età media delle pazienti di 39 anni e un valore mediano dell’ormone anti-Mülleriano (AMH) pari a 1,2 ng/ml. I ricercatori hanno analizzato numerosi parametri del primo ciclo – dall’età materna alla causa d’infertilità, fino agli esiti embriologici – per comprendere se influenzassero il secondo tentativo. Le pazienti hanno intrapreso un secondo ciclo per diversi motivi: mancata formazione di blastocisti (41%), fallimento d’impianto (20%), aborto (5%), o per protocollo DuoStim (26%), che prevede due stimolazioni in un unico ciclo mestruale. Tutti i cicli includevano stimolazione ovarica e fecondazione ICSI con coltura a blastocisti.
Dall’analisi dei dati è emerso che il 48% delle pazienti ha prodotto un maggior numero di ovociti al secondo tentativo. La competenza ovocitaria è migliorata nel 40% dei casi, con un aumento medio del 3% nel tasso di blastocisti per ovocita. Anche il numero di blastocisti è aumentato nel 43% dei cicli successivi. Il tasso cumulativo di nati vivi dopo il secondo ciclo è stato del 24%, indipendentemente dal risultato del primo ciclo. Un aspetto chiave emerso è che il tempo trascorso tra un tentativo e l’altro incide negativamente: ogni mese di ritardo è associato a una leggera diminuzione delle probabilità di successo. “Anche 6 mesi fra una stimolazione e l’altra fanno la differenza per le nostre pazienti”, spiega Vaiarelli.
Dai nostri dati viene confermato che “le coorti follicolari sono indipendenti fra di loro, anche se i parametri clinici come età e riserva ovarica restano invariati – aggiunge Danilo Cimadomo, Research Manager di Genera – Una paziente che ha avuto pochi ovociti o embrioni nel primo ciclo non è destinata a ottenere lo stesso risultato. Il 90% di chi non ottiene ovociti al primo ciclo li ottiene nel secondo, e il 60% riesce ad avere embrioni vitali. La variabile decisiva è il tempo: prima si effettua il secondo pick-up, migliori sono le probabilità”.
Secondo gli esperti, i dati suggeriscono la necessità di un cambiamento di prospettiva: non bisogna considerare la PMA come un singolo trattamento, ma come un progetto di genitorialità personalizzato, con obiettivi di medio-lungo periodo. “E’ necessario considerare la PMA come una strategia multiciclo – conclude Vaiarelli - utile non solo per ottenere una gravidanza, ma per realizzare un vero e proprio progetto familiare, che può prevedere uno o più figli. I centri specializzati e all’avanguardia basano il loro lavoro su un miglioramento continuo del trattamento e delle tecnologie a disposizione e su un counseling precoce e personalizzato, già dal primo colloquio. L’unica vero consiglio che possiamo dare, di fronte a un primo tentativo andato male, è che dobbiamo andare avanti, senza giudicare un esito negativo iniziale, dato che nei successivi cicli le chance di successo aumentano progressivamente”.