Flop referendum cittadinanza: l’Italia non è pronta, denuncia AMSI e Uniti per Unire
Oltre il 62% dei cittadini stranieri deluso: “Promesse politiche solo da opposizione”
Le associazioni AMSI – Associazione Medici di Origine Straniera in Italia, UMEM – Unione Medica Euromediterranea, Co-mai – Comunità del Mondo Arabo in Italia e il Movimento Internazionale Uniti per Unire, esprimono rammarico e profonda delusione per l’esito del referendum consultivo sulla riforma della cittadinanza, definendolo “un flop conclamato.”
Parla il Prof. Foad Aodi, medico fisiatra, giornalista internazionale, esperto in salute globale, Direttore dell’Agenzia Britannica Internazionale AISC – Informazione Senza Confini, membro del Registro Esperti FNOMCeO, già quattro volte consigliere dell’OMCeO di Roma e docente presso l’Università di Tor Vergata: “Siamo profondamente rattristati per il fallimento di quella che sarebbe potuta essere una riforma epocale, al passo con le grandi democrazie europee. Il nostro Paese dimostra ancora una volta di non essere pronto ad accogliere pienamente le nuove generazioni di italiani di fatto, figli di migranti che vivono, studiano, lavorano e contribuiscono ogni giorno alla nostra società.”
Il flop del referendum sulla cittadinanza – prosegue Aodi – non è solo una questione numerica. È lo specchio di un Paese spaccato e spaventato.
A differenza degli altri quesiti referendari, il quesito sulla cittadinanza ha mostrato una debolezza strutturale. Non solo il quorum è stato ampiamente mancato, ma i “sì” si sono fermati al 65%, con un preoccupante 35% di “no”. Percentuali decisamente inferiori rispetto agli altri quesiti, dove i “sì” hanno raggiunto anche il 90%.
Nelle grandi città si sono registrati i dati più confortanti: Roma (72%), Milano (74%), Torino (70%) e Napoli (76%). In contesti urbani e centrali la sensibilità verso il tema è rimasta alta, ma il divario con le periferie e le province resta ampio, a conferma di un Paese diviso anche culturalmente.
Il Prof. Aodi non nasconde la sua profonda delusione e amarezza per l’esito del recente referendum sulla cittadinanza. Con una dichiarazione che risuona come un monito, Aodi ha apertamente definito il risultato referendario “la lotta più forte contro il concetto stesso di cittadinanza”, evidenziando una ferita aperta nel dibattito sull’integrazione nel nostro Paese.
Il presidente di Amsi e del Movimento Uniti per Unire ripercorre con amarezza gli anni di impegno delle nostre associazioni e comunità, attivi su questi temi fin dal 2002. “Siamo stati i primi a proporre soluzioni concrete per affrontare ad esempio la questione dei concorsi pubblici”, ricorda Aodi. La nostra è sempre stata una visione chiara e pragmatica: Noi diciamo da tempo che chi lavora in Italia da almeno cinque anni, che è già inserito nel tessuto sociale, conosce la lingua e ha una stabilità consolidata, dovrebbe poter accedere ai concorsi senza l’obbligo preliminare della cittadinanza. Da questa proposta pionieristica, sottolinea Aodi, è scaturita un’intera filosofia di lavoro incentrata sull’integrazione autentica, un percorso che il Movimento Uniti per Unire, entità unica nel panorama europeo per la sua capacità di aggregare professionisti di ogni settore e nazionalità, documenta quotidianamente con il suo operato sul campo.
La critica di Aodi si concentra poi sulla gestione del referendum. “Purtroppo, il modo in cui questo referendum è stato proposto e, soprattutto, pubblicizzato, non si è rivelato una strategia vincente per mobilitare l’elettorato,” afferma il professor Aodi. Nonostante la sconfitta referendaria, l’impegno di Amsi, Co-mai e Uniti per Unire per promuovere una vera integrazione non si ferma. Tuttavia, i segnali che giungono dal territorio sono preoccupanti.
Attraverso lo sportello di Amsi e il vasto network di oltre duemila associazioni e comunità aderenti a Uniti per Unire, emerge un quadro di crescente frustrazione.
“Registriamo una grande delusione da parte dei cittadini di origine straniera,” rivela Aodi, fornendo dati sconcertanti: “Più del 62% di loro manifesta delusioni e una profonda rassegnazione.” Questa insoddisfazione, spiega, è diretta in particolare verso “il metodo con cui vengono proposti dalla sinistra concetti molto cari alle comunità straniere, come lo Ius Soli e la stessa cittadinanza.”
Il paradosso, secondo Aodi, è lampante e si ripropone ciclicamente: “Il 99% di queste proposte provengono dai partiti politici quando si trovano all’opposizione, ma purtroppo non è mai stata dimostrata una grande volontà di risolverle quando governano.”
A questa critica si aggiunge un ulteriore motivo di disappunto, condiviso dal 75% delle comunità e associazioni di origine straniera, tra cui realtà come Uniti per Unire, AMSI e Co-mai: il “mancato sostegno e la scarsa valorizzazione dell’immigrazione qualificata da parte dei partiti di sinistra.”
Aodi tiene a specificare che le sue osservazioni critiche verso i metodi della sinistra non devono essere fraintese come un’adesione a posizioni di destra. “Purtroppo, le critiche nei confronti dei partiti di sinistra non sono ben accolte. Non c’è mai stata un’autocritica, né una vera accettazione della realtà,” lamenta il presidente di Amsi. La sua analisi si spinge oltre, ipotizzando una resistenza di fondo: “Qualcuno, forse, desidera che l’immigrato rimanga immigrato per sempre.”
Nel contesto di un panorama politico in evoluzione, Aodi rileva anche una tendenza significativa: “C’è un aumento del voto trasversale a tutti i partiti, una dinamica molto diversa rispetto a dieci o dodici anni fa.” Questo scenario, a suo dire, dovrebbe spingere tutte le forze politiche a una riflessione. Per questo motivo, Amsi lancia un appello chiaro: “Proponiamo a tutti i partiti che la questione della cittadinanza debba essere condivisa attraverso un decreto di legge, e non strumentalizzata per fini politici.”
La storia recente è costellata di promesse non mantenute: “L’abbiamo già detto tante volte, abbiamo visto tante proposte di Ius Soli e di cittadinanza per immigrati, ma non abbiamo mai visto la luce di questo. Per questo la nostra grande delusione.”
Conclude il suo accorato intervento con un forte invito: “Il mio appello va a tutte le comunità e associazioni italiane di origine straniera che quotidianamente chiedono una vera integrazione, o lavorano per essa: unitevi e alzate la voce. Non deleghiamo nessuno, non accettiamo che nessuno parli a nome nostro, perché abbiamo subito e continuiamo a subire tanti danni. Non siamo più disposti a tollerare le conseguenze di mere strumentalizzazioni politiche.”
Il Prof. Aodi ricorda che le associazioni da lui coordinate, da oltre venticinque anni, portano avanti campagne di sensibilizzazione, iniziative interculturali e proposte concrete per una cittadinanza inclusiva:
“Dal 2000 AMSI, Co-mai, Uniti per Unire e UMEM combattono per una società realmente interculturale e paritaria. Abbiamo promosso centinaia di convegni, coinvolto istituzioni, lavorato nelle scuole, negli ospedali, nei quartieri più difficili, al fianco dei cittadini italiani e stranieri.
Questo referendum doveva essere il coronamento di un cammino. Invece, abbiamo assistito a un’occasione storica buttata al vento, anche per via di una comunicazione frammentata e poco empatica, incapace di parlare al cuore degli italiani.”
La delusione è palpabile tra i milioni di cittadini stranieri che vivono stabilmente in Italia. Secondo le stime di AMSI e Uniti per Unire, oltre 850.000 giovani nati o cresciuti nel nostro Paese si aspettavano un segnale forte. Molti di loro, oggi, si sentono respinti, invisibili, dimenticati da un sistema politico disconnesso dalle loro vite reali.
“L’Italia non può più permettersi di ignorare questi cittadini di fatto – conclude Aodi –. La sanità, la scuola, l’economia, la società civile sono già multietniche e multiculturali. È ora che anche le leggi rispecchino questa realtà.”
“In base ai dati statistici relativi al referendum, l’affluenza si è fermata intorno al 30% per tutti e cinque i quesiti. Un risultato che purtroppo era prevedibile: l’Italia non è ancora pronta ad accogliere pienamente il concetto di cittadinanza, come invece avviene in altri Paesi europei. Non si tratta di razzismo in senso stretto, ma piuttosto del fatto che, troppo spesso, la questione immigrazione viene trattata solo dal punto di vista dell’immigrazione irregolare, soprattutto a livello mediatico.
Quasi mai si valorizza in modo adeguato, a livello trasversale e non da tutti i partiti, l’immigrazione qualificata. Alcuni partiti lo fanno, e da tempo abbiamo con loro un buon rapporto. Se in questi anni si fosse adottato un approccio chiaro e coerente con un doppio binario — da una parte promuovere e valorizzare l’immigrazione qualificata, dall’altra contrastare l’immigrazione irregolare e tutte le sue conseguenze, sia durante il ‘viaggio della speranza’ che all’arrivo — probabilmente oggi non ci troveremmo con un 30% di voti contrari al quesito sulla cittadinanza.
Per questo motivo, noi non accettiamo più che qualcuno si erga a portavoce delle nostre istanze senza alcun mandato. Non accettiamo più candidati imposti dall’alto, scelti magari per una temporanea notorietà televisiva o per rapporti personali, senza alcun consenso reale o collegamento con le reti delle comunità di origine straniera attive in Italia da decenni. basta vedere i risultati negli ultimi 20 anni per i candidati di origine straniera a livello comunale, regionale, nazionale, senza nessuna strategia e programmi e coinvolgimento dal basso.
Noi collaboriamo con queste comunità fin dal 1985, e continueremo a farlo. Ma non accettiamo più deleghe forzate, né candidature calate dall’alto a nostro nome. Al contrario, vogliamo rafforzare la nostra rete, che è una rete italiana a tutti gli effetti, non solo composta da persone di origine straniera. È una rete laica, indipendente, apartitica e fondata su valori di cittadinanza attiva e reale integrazione.
È tempo di promuovere un movimento spontaneo, autentico e unito: Uniti per Unire, per l’Unione per l’Italia.”