Problemi magnifici – Presentato il nuovo libro di Massimo Adinolfi

Adinolfi: "Giocare a scacchi sviluppa una capacità particolare, ovvero irrobustisce il carattere"

333Questa sera, presso il Mondadori Bookstore di Avellino, si è svolta la presentazione del nuovo libro di Massimo Adinolfi, “Problemi magnifici”, Mondadori editore, 18.50€.

Massimo Adinolfi è professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università di Napoli Federico II, e dirige con Vincenzo Vitiello la rivista di filosofia «Il Pensiero». Editorialista de «Il Mattino» di Napoli dal 2007, collabora con «Huffington Post» e «Il Foglio». I suoi libri più recenti sono Hanno tutti ragione? Post-verità, fake news, big data e democrazia (2019) e Qui, Accanto. Movimen- ti del pensiero (2020). A scacchi ha giocato in tenerissima età e fino al 1984, quando è di- venuto candidato maestro; è tornato a farlo di recente, dopo una lunga, imperdonabile vacanza dalla scacchiera. E oggi a parlare con lui erano presenti Armando Bisogno e Nino Grasso, con la moderazione di Norberto Vitale.

C’è chi considera gli scacchi un gioco difficile, e la filosofia un’attività pesante. Eppure il «nobilissimo» gioco, al pari della filosofia, non è «difficile, ma profondo: come un alto mare aperto». Dunque anche chi rimane sulla costa, timoroso ma affascinato dal tentare il mare, può seguire le rotte che i giocatori vi tracciano. A tutti quelli che sono rimasti sulla riva il filosofo e appassionato scacchista Massimo Adinolfi racconta le avventure e le rivalità dei campioni, le piccole e grandi manie, le curiosità e i record. In altre parole, «i magnifici problemi che gli scacchisti provano a risolvere sulla scacchiera, ma più ancora quelli che, come tutti, devono risolvere nella vita». Riuscendo nel non facile compito di far convivere in uno stesso libro Wittgenstein e Capablanca, Platone e Kasparov, Kant e Karpov, Quine e Carlsen, Adinolfi li rende a pari titolo protagonisti di un avvincente e istruttivo racconto filosofico. Perché gli scacchi, meglio se attraverso le lucide lenti della filosofia, ci permettono di capire qualcosa in più del mondo. Così il lettore troverà in queste pagine le bizze di Fischer e il caratteraccio di Korchnoi, la fragilità di Morphy e l’aggressività di Alekhine, le loro geniali mosse sulla scacchiera e quelle assai più aleatorie che, come tutti, hanno dovuto compiere nella vita.

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Ma anche alcune cruciali questioni filosofiche – che cos’è la libertà, quale politica è possibile in democrazia, quale rapporto intratteniamo con la morte, cosa significa giocare e chi siamo noi italiani – trattate senza timore reverenziale o sfoggio di erudizione, ma prese «maledettamente sul serio», nonostante il tono sempre sospeso tra lo scherzoso e il divertito. Partendo dalle battaglie più memorabili e dai profili psicologici dei contendenti, Adinolfi dimostra come il mondo degli scacchi possa essere una chiave d’accesso privilegiata ai segreti della vita sociale e dell’animo umano. Il risultato è un libro di filosofia, godibile anche per chi non conosce le regole del gioco, ricco di spunti e parallelismi sorprendenti, che intrattiene e fa riflettere con la stessa pensosa leggerezza con cui uno scacchista muove i suoi pezzi.

Raccontandoci i suoi trascorsi e lo spirito che ha portato alla stesura di questo libro, l’autore ha dichiarato «Quando io ero giovane, e andavo al circolo degli scacchi di Salerno, ricordo che i più bravi erano i ragazzi della generazione del 77, ma non è possibile definire quale sia un tipo di scacchista classico, questo perché c’erano e ci sono una varietà di tipologie di persone e giocatori molto vasta.
Io ricordo che all’epoca c’era la leva obbligatoria e io, essendo fortemente miope, dovevano fare delle visite mediche e passai alcune giornate interamente ad aspettare in quelle sale d’attesa dove non potevi fare niente, tanto più che eri anche intimorito nel portare un libro da leggere, visto il contesto non adatto, e allora quello che facevo lì era allenarmi mentalmente con gli scacchi. Giocare a scacchi sviluppa una capacità particolare, ovvero irrobustisce il carattere.

Inoltre ricordo come mio padre, principalmente, passava il suo tempo a guardare la scacchiera. Egli giocava anche per corrispondenza, e all’epoca in cui non c’erano i computer, si giocava scrivendosi per lettera e ricordo che tra una mossa e l’altra grossomodo passava una settimana. Quindi lo ricordo lì a casa, che semplicemente contemplava la scacchiera, così come un artista contempla la sua tela. Non ci si cura del tempo che passa, si trascendi il tempo, appunto come un artista che contempla la sua opera. Questa è la parte affascinante degli scacchi.

22Ho scritto questo libro non come uno scacchista scriverebbe di scacchi, parlando di tattiche, strategia, ecc., ma invece ho usato tali tecniche per illustrare argomenti di carattere filosofico. Sfruttare la ricchezza e varietà del mondo scacchistico per illustrare la filosofia.
È un libro scritto, con la passione dello scacchista, ma con l’animo del filosofo. Non un libro sugli scacchi quindi, ma di filosofia».

Source: www.irpinia24.it