G8 di Genova, una riflessione a 20 anni dagli avvenimenti

Fiordellisi: "Quello che avevamo letto all'epoca è straordinariamente attuale"

ac4b1938-edd0-421d-b12f-86404465f069Questo pomeriggio, presso il Circolo della stampa di Avellino, la Cgil di Avellino in collaborazione con l’ANPI ha tenuto una conferenza per ricordare i 20 anni dal G8 di Genova. Una discussione a più voci con vari protagonisti di allora, avellinesi presenti e non, alle giornate di Genova e testimoni dei drammatici eventi che portarono alla morte di Carlo Giuliani e alla repressione di Bolzaneto dopo i fatti della scuola Diaz.

Sono intervenuti il segretario generale della Cgil di Avellino, Franco Fiordellisi, Rossella Fierro, giornalista de Il Mattino, Don Vitaliano Della Sala, parroco di Capocastello (Mercogliano), Giovanni Capobianco, presidente Anpi Avellino, Annibale Cogliano, storico, e Andrea Amendola, segreteria Cgil Campania.

Una discussione per ragionare ora per allora, ma soprattutto per pensare a quello che sarà il futuro. Per una società più giusta in cui le ingiustizie sociali, la dignità dei lavoratori, dei cittadini, con la tutela dei beni primari e comuni come l’ambiente, la Terra, siamo fondamento della società stessa. Utilizzare i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per realizzare il disegno di una società del futuro più equa e giusta, dopo i disastri lasciati alle nuove generazioni. 

La Cgil, con l’ANPI, e come tanti altri soggetti associativi e cittadini, ripropone la domanda: «Che cos’è la democrazia oggi e che cos’è la partecipazione oggi?» I modelli comunicativi di allora e di oggi, stante anche i populismi da social. Ma ancora di più «che cos’è l’ambiente e che cosa sono i brevetti? Che cos’è la salute e cosa sarà lo sviluppo? Saremo capaci di Tutelare l’Ambiente, ridurre le ingiustizie sociali e dare dignità lavorativa a Giovani e Donne?» Questi sono alcune delle domande a cui si è cercato di dare una risposta, partendo dalla memoria degli avvenimenti di 20 anni fa.

Il primo a parlare è il segretario generale della Cgil di Avellino, Franco Fiordellisi, che ha dichiarato: «A vent’anni da quegli avvenimenti restano sicuramente le idee, restano le motivazioni, restano le ragioni di quel movimento. Anzi, più che restare dal nostro punto di vista si sono moltiplicate, se parliamo delle crisi ambientali, della precarietà, di quello che è accaduto 10 anni dopo con il crack finanziario. Se pensiamo all’oggi con la pandemia e il problema sui brevetti, vuol dire che quello che avevamo letto all’epoca è straordinariamente attuale.

Io ero lì, e ancora non sono convinto che il movimento, o parte del movimento, abbia fatto violenza. Io so di sicuro che c’erano stati ragionamenti, penso e ritengo che ci sia stata una strategia della tensione. Vi faccio ricordare che all’epoca si parlava di sacche di sangue infetto, dato che al tempo si aveva ancora paura dell’AIDS, e tali sacche sarebbero state buttate addosso agli agenti e ai cittadini inermi. Ecco perché oggi ci soffermiamo sul discutere sulla comunicazione, che ci riguarda e vi riguarda tutti. Da questo punto di vista insistiamo sull’esserci stata una strategia della tensione, ovviamente ci sono stati errori, ma è drammatica la morte fisica e morale di due giovani. Di Carlo Giuliani e del carabiniere Mario Placanica, che non doveva essere lì perché noi abbiamo visto come si deve fare ordine pubblico.  Io temo che all’epoca si sia scelto sul modello Scelba, ovvero con la polizia che doveva tutelare i cittadini è stata invece costretta a tutelare il potere e a reprimere le idee nuove che venivano avanti. 

Tutta una serie di cose, anche sui brevetti, una cosa complessa, ma io vorrei ragionare dell’oggi, con buona memoria, cosa è esploso a livello di precarietà, che cosa è esploso a livello di disuguaglianza e di giustizia sociale. Penso che mai come oggi sia attuale una ripresa della coesione, della partecipazione, del confronto reale, non tecnico, ma politico con la P maiscola.»

4967bad3-47dd-4af9-b371-c892ac5a10c7A tal punto anche Don Vitaliano Della Sala ha voluto raccontarci della sua esperienza in prima persona degli eventi del G8, e lo ha fatto con tali parole: «La lezione di Genova è di mettersi insieme perché le proprie idee, le proposte che uno fa vengano ascoltate. E poi bisogna guardare a Genova non come i reduci di guerra guardano Vittorio Veneto, ma come una tappa di un movimento che, proprio perché movimento, va a avanti, cambia e non si istituzionalizza.

Ad esempio, non sono andato in questi giorni a Genova proprio per non cadere nelle commemorazioni, ma sono andato la settimana scorsa perché invitato dai portuali di Genova che hanno iniziato a fare una protesta molto bella, ovvero bloccare e non permettere l’ormeggio alle navi che trasmettono armi. Un iniziativa rilanciata in tutti i porti del mondo e molti di questi stanno aderendo, e quindi questo è il modo di guardare al passato, uno sguardo al passato ma protesi verso il futuro del nostro movimento che passa anche per la tutela del nostro territorio e la lotta al riscaldamento globale. 

Gli errori si fanno e i movimenti sono belli proprio perché variopinti, si mettono insieme ante idee e tante provenienza diverse. Però guai a fare diventare un movimento qualcosa di istituzionale, perché è la sua morte. È triste quando certe esperienze finiscono, e in questo caso finiscono anche male dato che a Genova l’aggressione fu sproporzionato e poi con l’11 settembre  di qualche mese dopo fu messa la parola fine alla possibilità  di opporsi dati che il mondo fu diviso tra terroristi e non. Ma bisogna guardare senza rimpianto al passato e trarre delle lezioni, anche dagli errori che ci sono stati.»

Riguardo al suo contributo diretto di quei giorni, Don Vitaliano aggiunge e conclude: «Mi sentivo un po’ la sintesi dello slogan di quei giorni, “dal locale al globale”. Io venivo dal locale, da Sant’Angelo a Scala, un minuscolo paese dell’Irpinia che è una terra di mezzo del nostro territorio e a Genova si dava voce proprio a chi nei territori si batteva per difendere i diritti in qualsiasi modo.

Fu interessante perché io ero un prete e la mia opinione veniva accettata e ascoltata, anche dai movimenti antagonisti e anti-clericali che mi avvolsero al loro interno senza censurami. Io sognavo una Chiesa che sfruttasse questo dono, ma probabilmente all’epoca non era pronta a tutto questo, e ciò è un grande dispiacere. Ma fortunatamente oggi guarda avanti, si rilancia, con papa Francesco che ci ha insegnato a guardare a questa Chiesa in uscita, che esce da se stessa e va verso l’altro, chiunque altro, chiunque sia per incontrare e per ascoltare. Una Chiesa che si occupa del nostro mondo e della nostra casa comune. L’enciclica “laudato si’” è un capolavoro di lettura del presente ma anche di proposta per un auspicabile cambiamento per la tutela del nostro mondo, del nostro pianeta. E anche l’altra enciclica “fratelli tutti” è un po’ ciò che abbiamo provato a fare a Genova, mettiamo da parte le differenze e mettiamoci insieme per raggiungere un comune obiettivo.

Cioè mettiamo da parte le differenze religiose, etniche, di cultura, di tradizioni e guardiamo all’umanità che abita un pianeta che rischia di esplodere se continuiamo così.»