Avellino – No Prison: cambiare il sistema carcerario italiano
"No Prison", niente prigioni. Luci ed ombre sul sistema carcerario
Avellino - Il tema dell’incontro tenutosi oggi pomeriggio alle ore 17:00 presso il Circolo della Stampa di Avellino è “No Prison”, cioè niente prigioni. L’incontro è stato ideato dal dottor Carlo Mele, Garante Provinciale dei diritti dei detenuti o delle persone private della libertà personale, con l’aiuto e la collaborazione dell’avvocato Giovanna Perna, penalista del Foro di Avellino e componente esperto del Tavolo del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
L’evento, moderato da Gianni Colucci, storica firma de “Il Mattino” di Avellino, ha visto gli interventi del dottor Carlo Mele, dell’avvocato penalista Quirino Iorio, tesoriere della Camera Penale Irpina e di un ex detenuto che ha raccontato la sua esperienza diretta della vita nel carcere. Il convegno è terminato con l’intervento dell’autore del libro “Basta dolore e odio No Prison”, ovvero Livio Ferrari, un libro che promuove l’eliminazione del sistema carcerario, inteso come luogo di odio e di vendetta.
“Il carcere serve a chi vuole punire le persone garantendo sicurezza, pensando che i cattivi siano rinchiusi in quelle quattro mura e i buoni invece si trovino al di fuori. In carcere ci vanno i poveretti, magari chi non è assistito da un buon avvocato, infatti gia nel 1600 il carcere nasce per i poveri. Ormai il carcere è un vestito vecchio”. Il manifesto “No Prison”, scritto da Livio Ferrari e Massimo Pavarini, è un volume formato da una serie di capitoli scritti da illustri sociologi, professori universitari di rilievo internazionale, che dice di no a questo mondo di odio e di vendetta.
“La pena deve essere intesa come medicinale. Basti pensare che negli anni ’60 le persone che venivano condannate erano chiamate i paraplegici dello spirito. Questa concezione negativa della pena è sbagliata. Il carcere rappresenta l’ultimo manicomio della nostra epoca, è un luogo che produce morte. Dall’inizio del secolo si sono verificati 2212 morti in carcere e più di 1000 suicidi. Ma non solo i detenuti, anche gli agenti si suicidano. E perchè? Non è l’anziano che si ammazza, bensì sono principalmente i giovani a tre mesi di uscita dal carcere, ad esempio, ad ammazzarsi, quando una volta usciti dal carcere hanno tutta la vita davanti. Perchè questo? Perchè appunto il carcere è luogo di morte. Questo è l’unico motivo, non ce ne sono altri”.
Il convegno si pone quindi quale momento di profonda riflessione sulle luci ed ombre del mondo carcerario, tenuto conto anche della recente modifica legislativa dell’ordinamento penitenziario. Questo incontro rappresenta dunque un’occasione di discussione e approfondimento sulla funzione rieducativa della pena, tra coloro che a vario titolo frequentano il mondo penitenziario.
“In questo periodo storico abbiamo costruito dei diritti sul lavoro, ma siamo passati dalla sicurezza dei diritti al diritto alla sicurezza. Nessuno dei nostri governi, non solo l’ultimo, ha studiato i motivi per cui succedono certi omicidi o suicidi, o ha cercato di capire cosa c’è dietro la criminalità. Bisogna curare il malessere che porta a fare azioni malsane, ad esempio bisogna portare il lavoro dove non c’è. Bisogna mettere in campo i moti della pace, magari facendo incontrare chi ha sbagliato con chi ha subito il danno. Tutti noi esseri umani sbagliamo, nessuno è perfetto, tutti commettiamo errori ma c’è anche da dire che tutti cambiamo. Nessun individuo può essere colpevole per tutta la vita. La restituzione del danno è fondamentale, perchè le vittime spesso vengono trattate peggio dell’autore del reato. La sicurezza non si crea con le forze dell’ordine, ma con il recupero delle persone, però il mezzo adatto non è di certo il carcere”.
Ormai in questa società non esiste più il rispetto. La società sta diventando sempre più cattiva. Bisogna rispettare la dignità delle persone. “Non possiamo pretendere che le persone rispettino le leggi senza che le leggi stesse siano rispettose dei diritti delle persone”. Allora bisogna combattere questa guerra con l’alfabeto dell’accoglienza, aumentando la soglia della cultura, perchè la cattiveria la si fa quanto più ignoranti sono le persone.