Al Circolo della Stampa, la missionaria Chiara Castellani racconta la sua Africa
Dove la vita non vale niente, niente vale come la vita: una testimonianza dal cuore dell'Africa quella di Chiara Castellani, che racconta la scelta, umana e di fede, di investire la propria vita in un'esperienza arricchente per sé e per gli altri.
L’Africa che non ci raccontano, l’Africa abbandonata, negata, dimenticata; quella dei poveri, della guerra, del dolore; quella della violenza e della negazione del diritto alla salute e all’istruzione. Quell’Africa, appunto, la si incontra nelle storie di Chiara Castellani, medico missi0nario, ospite stamattina al Circolo della Stampa; chirurgo di guerra, da ventisette anni in Africa a operare e combattere affinché il diritto di sognare sia garantito e salvaguardato.
“Ho cominciato a sognare all’età di sette anni. “Io voglio andare in Africa a curare i malati di lebbra” dissi a mio padre e mio padre, invece di minimizzare questo mio sogno contribuì ad accenderlo. Fu così che, guidata da mio padre e dal mio sogno, diventai medico“. Prima in Nicaragua e poi in Congo, Chiara continua ogni giorno a realizzare quel sogno, attraverso la gente che cura, attraverso le madri che salva dal rischio di morire di parto, attraverso i bambini; bambini minatori, bambini soldato, che vedono il proprio diritto all’infanzia negato a causa della guerra e di una logica di mercato spietata e balorda: “Io non ho mai scelto di andare a lavorare in un Paese di guerra; la guerra mi segue, purtroppo, da sempre, per il fatto stesso di aver scelto, piuttosto, di andare a lavorare in una delle zone più povere del pianeta“. Chiara ha nell’aspetto l’austerità semplice di chi si qualifica per l’esperienza accumulata sul campo; quella che segna nel volto e rallenta il corpo, un corpo minuto, un corpo stanco e appena piegato dalle fatiche; è una donna forte, Chiara, ha gli occhi che parlano d’amore e bontà, una vocina gentile, che ipnotizza chi l’ascolta, e i capelli grigi con qualche filo bianco qua e là.
In un Paese che piange continuamente i suoi morti, cinque milioni di croci a ricordarne la vita, “quante volte ho dovuto piangere per i miei amici; Pierre, Emiliano, Maria, Richard, Rosy, Tonino, Maurizio, per loro, forse, avrei avuto voglia di fuggire, ma la voglia di restare e continuare il loro cammino era più forte“. Diventata suo malgrado chirurgo di guerra, “io che avevo imparato a utilizzare il bisturi per aiutare donne come me a mettere al mondo esseri umani, mi sono trovata a utilizzarlo per essere mutilante, per tagliare braccia, gambe in cancrena di donne, di uomini, ma soprattutto di civili e alle volte anche di bambini“. Alla fine di ogni intervento Chiara piangeva, ma per capire fino in fondo quella sofferenza inferta dall’uomo all’uomo, per uno scherzo del destino capitò anche a lei di perdere una parte del proprio corpo e rimase monca di un braccio. Non fu, in quel caso, una mina antiuomo, ma un incidente per sfuggire a un agguato: “A distanza di ventisette anni mi sento di dire che è stato un disegno di Dio, perché fa bene a un medico, qualche volta nella vita, ritrovarsi dall’altra parte del bisturi; riesci a capire cose che non sono scritte sui libri“. Quello di Chiara è un sogno nato dalla coscienza della sofferenza e dalla voglia di ricominciare, perché “ci sono cose che sanno vedere solo gli occhi che hanno pianto“.
Una Università dei poveri, ventisette strutture sanitarie fra ospedali, centri di salute, maternità e una scuola infermieri: insieme alla sua squadra e all’amico infermiere Kikobo, nel suo lavoro itinerante Chiara fa formazione sul campo, perché ostetriche, infermieri e medici senza un titolo riconosciuto possano professionalizzarsi. “Munganga Mbuta” è, nella cultura congolese, il medico anziano, lo stregone, il sacerdote, colui che si prende cura e ha i capelli bianchi. Lo è diventata Chiara, che ha saggezza ed esperienza da trasmettere ai suoi studenti e alle sue studentesse, “i miei figli” come lei li chiama, più di 2000 quelli che ha formato, donne nella maggior parte dei casi, a ribaltare le statistiche del mondo povero e dell’Africa, in cui la donna è emarginata, esclusa dai diritti più elementari: “Fai studiare un uomo e aiuti un individuo, forse la sua famiglia; fai studiare una donna e aiuti una nazione a crescere nella coscienza del diritto, perché le donne, appunto, sono le vittime principali del diritto negato“. E’ un principio fondamentale che Chiara dice di aver imparato dall’amica Rita Levi Montalcini. E così Maman Pascaline, Maman Candongo, Sarah, Didier da adulti iniziano a frequentare la scuola, l’Università della Savana, per specializzarsi ufficialmente nella professione medica; conseguono i propri diplomi e iniziano a riscuotere un salario.
Le loro storie, insieme alla storia della vita di Chiara Castellani, sono raccolti in “Savana on the road”, il libro che lei ha voluto dedicare all’amico Kikobo; una lunga lettera in cui racconta il sogno di restituire all’Africa, finalmente, il diritto alla vita, alla salute, all’istruzione, alla pace, a una democrazia che sia reale e non solo declamata; una fiaba dalle tinti tristi, calde e dorate a un tempo, in cui svela l’anima di un’Africa sconosciuta nella sua capacità di inventare e costruire il proprio futuro.
di Eleonora Fattorello