“Il dio di New York”: Luigi Fontanella racconta la storia di “Pascal” D’Angelo

Presentato al Circolo della Stampa insieme a Lo scialle rosso, il romanzo è uno specchio per la vita, le fatiche, i sogni e le aspirazioni di molti. Era il 1910: in libreria la storia di un emigrato abruzzese in America.

foto1Luigi Fontanella, ordinario di Lingua e Letteratura Italiana presso la State University di New York, è poeta, narratore, saggista e traduttore, attualmente in Italia, e lunedì al Circolo della Stampa di Avellino, per presentare le sue ultime pubblicazioni: il romanzo “Il dio di New York”, edito da Passigli, e la raccolta di poemetti e racconti in versi “Lo scialle rosso”, edito da Moretti e Vitali.

Presenti per l’occasione Gianni Colucci de “Il Mattino”, Carlo Santoli direttore della rivista Sinestesie, Paola Anna Gianfelice dirigente scolastico del Liceo Colletta, Domenico Cipriano presidente del premio Civetta di Minerva, Carlangelo Mauro critico e poeta, redattore della rivista Sinestesie, e Angela Caterina attrice e autrice del Teatro d’Europa, che ha mirabilmente letto e interpretato alcuni passi del romanzo.

Ne “Il dio di New York” Fontanella racconta la storia di Pasquale D’Angelo, sedicenne di origini abruzzesi, fuggito dall’Italia per cercare fortuna nella New York del 1910. “E’ la ricostruzione di una vicenda toccante – ha dichiarato l’autore – che parla di miseria e sofferenza, ma anche di un sogno e di una voglia prometeica di farcela“. Quella di Pasquale, divenuto ben presto “Pascal” tra i suoi compagni, non è, infatti, una storia di emigrazione e basta. Pascal è un manovale, un povero spaccapietre che esprime la propria rabbia esistenziale nello scontro con la realtà americana, nell’impatto drammatico con un Paese del tutto diverso dal proprio Paese:

New York, 31 Dicembre 1921. Un uomo sta dirigendosi verso Time Square dopo aver trascorso l’intera giornata nella sala di lettura della New York Public Library. … E’ quasi mezzanotte. Per entrare nella sua stanzetta deve passare attraverso un gabinetto, usato da altre famiglie che vivono in quel caseggiato. Da questa latrina in comune spesso ci sono perdite d’acqua sporca e lordure di ogni genere che s’infiltrano sotto la porta del suo alloggio. … L’uomo apre la porta del suo tugurio e, nel buio, affonda i piedi in una pozzanghera. La finestra è spalancata e la neve è penetrata a folate, e continua a penetrarvi in un turbinio veloce. Una parte del letto è bagnata e ugualmente allagato è il pavimento su cui sono impiastricciati fogli di carta, i suoi pochi libri, qualche umile suppellettile. Tutto bagnato e inzaccherato. Insudiciati anche un paio di pantaloni e alcuni panni di ricambio che lui generalmente tiene sotto la branda. Il pane, intriso d’acqua e di sporco, emana un tale fetore che lo rende immangiabile. … L’uomo chiude la finestra, si rannicchia nella parte del letto ancora asciutta e si avvoltola nel cappotto che gli fa anche da coperta. Chiude gli occhi e va col pensiero ai suoi anni infantili, quando abitava con la sua famiglia in uno sperduto paesino dell’Abruzzo. Quest’uomo si chiama Pascal D’Angelo.

Sogna un mondo diverso Pascal e a un certo punto della sua vita scopre la poesia dei grandi poeti del Romanticismo inglese. Keats, Byron, Shelley, Blake lo conducono all’amore di una lingua nuova, che lui conquista da autodidatta in nome di una missione letteraria da portare a termine. Nella Public Library di New York cerca e trova la pace; fa enormi sacrifici, lavora meno pur di avere il sabato libero e poter andare in biblioteca. Per leggere è disposto a far la fame, vive in una casa che è un tugurio dei più infimi, ma vuole avere tempo da dedicare alla lettura. In quel piccolo paradiso che è il suo rifugio si imbatte, però, anche nel rifiuto della società letteraria. I grandi giornali del progresso italo-americano rigettano le sue richieste d’attenzione, lo cacciano perché non ha un nome noto degno di essere pubblicato:

2 Gennaio 1922. Egregio Direttore di The Nation, ho inviato tre poesie per il premio indetto dal vostro giornale e pur avendo rispettato i termini della presentazione, come descritti dal bando, non ho ricevuto alcuna notifica dalla vostra redazione. Vi sarei, dunque, estremamente grato se poteste informarmi in merito alla questione. Io spero che nel leggere quelle mie poesie voi terrete conto della mano che le ha scritte. E’ la mano di uno spaccapietre ignorante, che l’inglese non l’ha mai studiato a scuola. … Io sono un uomo che arranca con la fatica per emergere dal buio dell’ignoranza e portare il suo messaggio di fronte a un pubblico. … Questa lettera è il grido di un’anima che si è arenata su lidi tenebrosi lungo il suo disperato viaggio verso la luce, verso un faro che le indichi la via per trovare un giusto riconoscimento, affinché io possa vivere nella mia arte. … Io sono un manovale, uno spaccapietre, voglio soltanto un’opportunità per esprimere ciò che so dire oltre che fare, per esprimere le pene di chi piega il capo sotto lo schiacciante peso del giogo di un ingiusto destino. Non esistono parole in grado di descrivere i miei stenti. … Ieri, il primo giorno dell’anno, io possedevo solo cinque centesimi, che bastavano appena per un pasto a base di banane marce e un pane secco e tutto per amore di un ideale. Vi prego di considerare la mia situazione, la qualità delle poesie che ho inviato. … Liberatemi dalle mie catene, datemi un’opportunità prima che altre infinite sofferenze finiscano di annientare la mia salute fisica e mentale facendo di me un mostro. … Io non ho amici in grado di spianarmi la strada che porta alla letteratura, sono un misero bracciante, un manovale, ma anche un paladino della libertà. … Fatemi emergere da questo ignobile grigiore e aiutatemi a salire su un pulpito splendente, da dove io possa, anch’io, far parlare lo scrittore che è in me.

Pascal non pubblica nulla fino a quando un segno del destino, probabilmente il dio di New York richiamato nel titolo, gli dà la possibilità di pubblicare le sue poesie su “The Nation” e di vincere il primo premio. “Si parla di me finalmente - dice Pascal - ma tuttavia più dolce sopra ogni cosa fu la felicità dei miei genitori, i quali poterono avere la conferma che dopotutto non ero diventato uno straccione, ma avevo lottato riuscendo ad arrivare lontano, il più lontano possibile dai profondi solchi di quella terra ingrata”. E’ questa la vera soddisfazione: da uomo del sud Pascal vuole che la famiglia sia parte di quel successo anche se lontana.

Fontanella è un uomo che non ha mai perso il suo legame con le origini e col mondo dell’infanzia. Tanto anche di lui c’è in questo romanzo come ne “Lo scialle rosso”, che richiama vicende biografiche e avvenimenti anche drammatici della sua vita familiare. Centrali i temi del tempo e del vento, che simboleggia il fluire inarrestabile degli anni, accompagna il passato e le memorie tra il ricordo della semplicità assoluta di quando si sapeva “ridere e gioire di niente” e l’elegiaca tristezza per la perdita di tante persone care, che vengono rievocate in questa poesia-rito del “poeta sciamano”.

“Il canto del distacco” è il famoso poemetto che chiude la raccolta e in esso il protagonista ritorna al giardino di aranci dove, scrive, “ragazzo rubai i primi mandarini. Quel paesaggio è serrato nel sorriso di qualche compagno di giochi risucchiato nel tempo”, a esprimere quello che per Giulio Ferroni è il concetto dell’ “eterno ritorno del pendolare”, il contatto costante con le proprie origini dell’uomo del sud, in questo caso, che, vero e proprio ambasciatore culturale, non ha mai tranciato quel legame che anche Pascal D’Angelo conservò fino alla morte con la sua vera famiglia.

 

di Eleonora Fattorello

 

Source: www.irpinia24.it