Avellino- Montefusco racconta i suoi scatti

“Uomini sul confine” la mostra fotografica al Carcere Borbonico dal 19 al 22 dicembre

Alessandro Montefusco

Alessandro Montefusco

Avellino- Una mostra fotografica dal carattere deciso, alla scoperta del mondo, una full immersion in culture diverse, lontane, dimenticate. Ricercatore Telethon di mestiere, fotografo per passione, Alessandro Montefusco porta ad Avellino nella Tholos del Carcere Borbonico la mostra “Uomini sul confine”.

Alessandro, con poche parole come definiresti i tuoi scatti?

Qui ce ne sono circa una trentina. Le foto provengono da varie parti del mondo. Il filo comune è la frontiera, infatti cerco di raccontare quella tra Stati Uniti e Messico, poi Cuba come confine geografico e politico con la rotta dei migranti da Haiti che risalgono il Centro America per trovare fortuna al Nord ecc. . Ma ancora, la lingua e la cultura tibetana, persone lontane dalle grandi città, che vivono a 1400 metri di altitudine, nomadi che riescono a spostarsi solo con lo yak (bue tibetano ndr.), che ha delle caratteristiche atomiche particolari che gli consentono di vivere a grandi altitudini. Si tratta di realtà molto particolari…

Da dove nasce l’attenzione verso questo tema delicato?

Io viaggio per passione, spendo le mie vacanze così. Il prossimo progetto è ripercorrere la “Via della seta”, tra una decina di giorni partirò per l’Asia Centrale. L’ultimo lavoro, invece, ha toccato Srebrenica, il luogo del genocidio dei musulmani da parte dei serbi. La Penisola balcanica è costituita da enclave e mi affascina molto per questo. Nonostante le difficoltà e le zone pericolose, l’adrenalina mi spinge. Sicuramente si tratta di luoghi logisticamente complessi: senza alberghi, comodità. Ma mi adatto, anche a dormire in una stalla. Sono stato in Palestina, Tel Aviv, Gerusalemme, emblema delle divisioni nel mondo…

Una vera e propria avventura umanitaria, qual è il messaggio che vuoi lanciare attraverso le tue immagini?

Direi proprio l’umanità perché “chi vive sui confini ha una storia in più da raccontare, sia del Paese di provenienza che di quello di arrivo”. Se ci impedissero di andare in un luogo, saremmo sicuramente attratti da quel posto, è automatico. Così per i Messicani o i Kosovani, questi ultimi finché non accetteranno dei confini, sono impediti nell’andare altrove, non hanno passaporto. Andando di nuovo sui Balcani troveremo realtà ortodosse che distano pochi chilometri da comunità musulmane. Gli ortodossi festeggiano uccidendo tradizionalmente il maiale, lo spargimento di sangue suino è un modo per marcare il territorio nei confronti degli islamici.

La storia che si mischia con il presente… Cosa rappresenta per te esporre ad Avellino?

Avellino è la mia città e sono contento di presentare qui la mia mostra inserita nella rassegna “Uomini sul confine: viaggi e ricerche attraverso le frontiere” insieme ad altri avellinesi che hanno trattato il tema in maniera diversa e pertinente al contempo. Un’occasione di dialogo e confronto.

Avellino, per te, si sta evolvendo come mentalità?

A malincuore devo rispondere un secco “No, per niente”. Avellino vive il dramma di aver smesso di essere capoluogo, infatti le ricchezze arrivano dalla Provincia, ma la città non offre nulla. La ricchezza della Provincia è la Provincia, Avellino ha smesso di essere un volano di idee, ricerca emozioni. Tutto ciò che c’è di bello viene dalla Provincia e la città non riesce a farsi contaminare da ciò che viene dalla periferia, la periferia non trova sfogo, ma resistenza ad Avellino e ciò è desolante. Per conoscere gli altri, bisogna prima conoscere e apprezzare sé stessi…

di Guendalina Bonito

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Source: www.irpinia24.it