Presentazione “Lettera a un Giudice” a Sant’Andrea di Conza

Il 21 e 22 agosto alle 17.00, l'autore Paolo Saggese incontrerà amici e lettori

lettera a un giudiceSant’Andrea di Conza –  Domani 21 e dopodomani 22 agosto, a partire dalle 17.00, all’interno della Terza edizione della Festa del Libro, Paolo Saggese incontrerà amici e lettori e discuterà, nei vicoli del paese altirpino, sul suo romanzo “Lettera a un Giudice. Racconto fantastico sulla corruzione” (Magenes Editoriale, Milano, 2015). Ne discuteranno con l’autore i poeti e scrittori Alfonso Nannariello, Alessandro Di Napoli, Mino De Vita; interverrà anche Eugenio Liloia, componente della Rete degli studenti di Caposele. Letture a cura di Luigi Fungaroli. Qui di seguito si riporta la recensione di Alfonso Attilio Faia, “Enrico Berlinguer e la corruzione. A proposito di Lettera a un Giudice di Paolo Saggese”.

Io sono riconoscente a Paolo e al Centro di documentazione della poesia del Sud per avermi dato sempre spazio e per avermi dato la possibilità di farmi conoscere in un campo, quello della letteratura, dove non ho pretese e che non mi appartiene se non per la passione e per la curiosità che sempre mi suscita. Il libro lo conoscevo indirettamente per aver letto le numerose recensioni, quindi ne conoscevo il contenuto e i motivi che avevano spinto Paolo a scrivere di getto questa confessione. Oltretutto la pubblicazione del libro cadeva proprio dopo trentacinque anni dalla denuncia della “questione morale” posta da Enrico Berlinguer, durante l’intervista rilasciata a Eugenio Scalfari su “la Repubblica”, e la cosa mi stuzzicava.

Berlinguer denunciava allora la degenerazione dei partiti, che erano diventati macchine di potere e di clientela. Misconoscendo la vita e i problemi reali del Paese, della società, si occupavano più dei loro interessi, talora contraddittori e loschi, portando ad una totale degenerazione del sistema che aveva ormai completamente messo da parte il bene comune. Il grande politico denunciava il fatto drammatico che i partiti avevano “occupato lo Stato e le sue istituzioni”, lottizzando e spartendosi praticamente tutto quanto dove c’era da mettere le mani.

La cosa più drammatica era che gli italiani accettavano questo stato di cose, ne erano complici: “Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti) o sperano di riceverne, o temono di non poterne ricevere più”, egli diceva. Oggi si fa la stessa cosa: chi è padrone dello Stato, chi gestisce la cosa pubblica fa così: nomina i nominati, non sceglie, non seleziona per meriti. Il berlusconismo ha insegnato a contrattare a ogni livello, per cui oggi non parliamo più neanche di corruzione ma di degenerazione del sistema, del tessuto sociale intero. Conoscendo Paolo, l’uomo, e la sua statura morale oltre che letteraria, appena mi sono procurato il libro, l’ho letto tutto d’un fiato e mi sono compenetrato.

I temi che Paolo affronta in questo racconto fantastico sono quindi la corruzione, come egli stesso annota nel sottotitolo, ma soprattutto quello della giustizia che ormai troppo spesso in Italia viene meno ai suoi doveri. La corruzione e l’ingiustizia sono sempre esistite nella società umana, lo dimostra l’autore stesso che inizia ogni capitolo con una frase estratta dalla letteratura di ogni epoca: ne è piena infatti la letteratura, ne sono pieni i testi filosofici e di politica, dai greci delle tragedie ai latini Virgilio e Cicerone, da Machiavelli a Montaigne, da Dante a Shakespeare e da Voltaire e Leopardi, fino a Kafka e a Roberto Saviano ai giorni di oggi.

Trattasi di un malanno sociale che è intrinseco nell’anima delle persone di tutti i luoghi e di tutte le epoche. Già nella Bibbia troviamo molti riferimenti alla ingiustizia e alla corruzione: ne sono un esempio molti salmi, in cui l’orante si appella al Signore chiedendo giustizia per i torti subiti. Ma l’esempio più classico è sicuramente il libro di Giobbe che è uno dei libri che maggiormente possiamo accostare al libro di Paolo Saggese. Il protagonista, Giobbe, soffre di un terribile male fisico e morale per aver perso i suoi numerosi figli, tutti i suoi beni e perché è egli stesso flagellato da mille piaghe; ma il suo dolore più grande è il dubbio di essere vittima di una colossale ingiustizia: quale è la sua colpa se è stato punito così tanto?”

Source: www.irpinia24.it