Legge elettorale e Costituzione, l’intervista al Magistrato Domenico Gallo

"Riforme che rafforzano i poteri di una minoranza ristretta a svantaggio del destino di una comunità"

GALLOAvellino – Legge elettorale e riforma della Costituzione, due temi indivisibili che solo elaborati insieme possono esprimere il prodotto della democrazia reale di un Paese. Questa mattina, presso l’Aula Magna del Tribunale di Avellino, prima del convegno “Profili di costituzionalità della Legge 6 Maggio 2015 n 52“, abbiamo richiesto il parere sul Referendum per le modifiche all’ordinamento vigente al Dott. Domenico Gallo, magistrato della Corte di Cassazione.

Consigliere Gallo lei è schierato tra coloro che dicono No alla riforma della Costituzione, quali sono le ragioni principali di questa scelta?

«I motivi sono tanti, il problema è capire quale sia il senso di questa riforma. Personalmente ne rintraccio il senso nella totale modifica del modello di democrazia del nostro Paese. Bisogna tener presente che la riforma non agirebbe da sola, qualora vincesse il Sì, ma insieme alla legge elettorale. Queste due riforme mutano profondamente il volto della democrazia, perché si passa sostanzialmente da un sistema fondato sulla rappresentanza e sulla partecipazione popolare, a una democrazia basata sull’investitura, da un modello democratico costituito sulla centralità del Parlamento a un modello cucito sulla centralità dell’esecutivo. I cittadini non concorrono a determinare la politica nazionale, ma hanno solo il diritto di scegliere chi deve comandare e poi tornare a casa per 5 anni. Questo disegno, perciò, non ci porta nel futuro, ma ci riporta indietro, a statuti di tipo autoritario»

Nella giornata di ieri, 17 Giugno, il comitato per il No di Avellino ha organizzato un incontro-dibattito, al quale ha partecipato anche il Prof Michele Prospero, il quale sottolineava che la Costituzione è una carta rigida che non può piegarsi alla volontà di chi governa, altrimenti diventa carta ‘flessibile’ e smette di essere Costituzione. Lei concorda?

«Concordo e ritengo che sia assolutamente necessario precisare che la Costituzione non è un bene a disposizione delle contingenti maggioranze parlamentari che cambiano con il trascorrere del tempo. La nostra Carta rappresenta una dimensione in cui si deve riconoscere tutto il popolo italiano, la nostra casa comune. Gli architravi di questa casa non possono essere cambiati dalla prima maggioranza che si affaccia nella scena politica, perché dobbiamo conviverci tutti. La Costituzione ha unito il popolo italiano, costituendolo in comunità politica che si riconosce in un destino comune. Allora è evidente che non possiamo consentire che una minoranza si impadronisca del nostro destino e lo pieghi ai suoi obiettivi di parte. E’ pericoloso il discorso sulla posizione dei mercati, la riforma non può essere un vestito confezionato per i governanti».

Nel nostro Paese c’è un problema di rappresentanza, che questa riforma potrebbe in effetti inasprire, ma c’è soprattutto una questione di spazi collettivi ridotti, di non riconoscimento nei partiti, nei sindacati, in tutti quei luoghi che in realtà appartengono al popolo sovrano. Come si può arginare tutto questo e riportare la democrazia alla sua funzione naturale di partecipazione?

«Ciò che è fondamentale è il sistema elettorale, perché il sistema elettorale ha sterilizzato la partecipazione popolare, ha rotto i canali di rappresentanza. E’ sensazione comune che ci sia scarsa fiducia nei rappresentanti politici, indipendentemente da chi essi siano. Ecco che allora parliamo di casta, cioè di qualcosa che ha un suo destino, separato da quello del popolo italiano  e, invece, bisogna riaprire l’agibilità politica nelle istituzioni. Occorre lavorare a livello popolare e riaggregare ciò che è stato disgregato. In questa situazione in cui sono in crisi i partiti, le organizzazioni sindacali e anche quelle religiose, perché prevale l’individualismo, l’unico elemento che unisce tutti è la Costituzione, quindi cambiarla può significare il caos».

Non pensa che ci sia anche un difetto di comunicazione, per esempio, quando il Ministro Boschi asserisce che laddove non vincesse il sì al referendum il Paese finirebbe nell’instabilità?

«Da parte dell’esecutivo si cerca di esercitare delle forme di ricatto politico sul popolo italiano, così come durante il percorso parlamentare si sono esercitati dei ricatti fortissimi a deputati e senatori per costringerli a votare anche provvedimenti che non condividevano tanto. La drammatizzazione della riforma, il fare della rottamazione della Costituzione un idolo ci dimostra che questa riforma è meno banale di quel che si vorrebbe far credere. Il senso non è rintracciabile nella casta che taglia se stessa, nella riduzione dei costi della politica, che sono briciole, ma piuttosto si sovverte il significato della democrazia. Per loro è importante questo cambiamento, perché introduce una nuova forma di potere e proprio la drammatizzazione operata dai sostenitori del Sì mette in luce quanto sia alta la posta in gioco».

 

Di Francesca Contino

 

Source: www.irpinia24.it