Quando un magistrato scrive alla Chiesa di Roma
L’ultimo libro di Eduardo Savarese è un’accorata e sentita lettera di un credente omosessuale, che crede nell’amore e in Dio
Eduardo Savarese, magistrato e scrittore, ha già dato prova del suo talento letterario con i precedenti romanzi, sempre editi da edizioni e/o, “Non passare per il sangue” (2012) e “Le inutili vergogne” (2014). Questa volta, Savarese con “Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma” affronta la scottante e problematica questione del matrimonio gay.
Da fervente credente, l’autore critica la posizione della chiesa cattolica rispetto alle unioni civili, ma non allo steso tempo non appoggia quelle di alcune frange del laicismo estremo, che invocano il riconoscimento dei diritti invocati, senza prevedere gli effetti che le rivoluzioni richieste produrrebbero. La sua è la posizione di un cattolico, che chiede alla sua Chiesa di non voltare gli occhi e di accoglierlo, perché non vuole e non può rinnegare la sua omosessualità.
Consapevole del fatto che da molti l’omosessualità è vista come una forma di peccato e di perversione, che provoca disordine morale, l’autore ricorda invece ai suoi interlocutori che non c’è male nell’omosessualità, chiedendo che sia riconosciuta dalla Chiesa come una sua “diversa” natura, al pari di altre. In questa sua personalissima lettera, Savarese racconta episodi molto intimi della sua esperienza e della sua relazione con il suo compagno, del loro viaggio a Lourdes, degli incontri realizzati durante il loro cammino insieme e che li ha portati a rafforzare la loro fede.
L’autore tocca anche alcuni argomenti difficili, che la chiesa vive, concentrando l’analisi su alcune questioni delicate come: I preti pedofili e il rifiuto di insegnanti omosessuali. A partire dalla sua sofferta posizione, “Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma” offre importantissimo spunti riflessivi sull’omofobia, di cui sempre più spesso purtroppo sentiamo le orribili conseguenze, unioni civili e matrimonio gay.
Il libro non è un semplice atto di accusa, non è un alzare il dito contro qualcuno, anzi… è un appello al dialogo e al confronto, un inno all’apertura e all’accoglienza. Infatti nelle parole dell’autore non c’è solo rabbia e dolore, ma soprattutto speranza e fiducia.
Davide MARENA