Intervista a Joe Barbieri: il cantore “Cosmonauta”

A pochi mesi dall’uscita del suo ultimo disco “Cosmonauta d’appartamento”, il cantautore partenopeo, con la sua tipica elegante delicatezza, racconta i passi di questo suo ultimo viaggio

joe1 okJoe Barbieri, classe 1973, è un noto cantautore e produttore discografico di origine partenopea. Il suo esordio professionale è legato a Pino Daniele, che, grazie ad un demo finito nelle sue mani, ha pubblicato i suoi primi lavori. Nel 2004 pubblica “In Parole Povere”, il suo primo album, che si caratterizza per la perfetta fusione tra world music e jazz, che costituisce la sua cifra stilistica distintiva. Da questo momento, il successo decolla, portando oltreoceano le sue note, che riscuotono un crescente consenso di pubblico. Infatti, i suoi successivi prodotti discografici, arricchiti da importanti collaborazioni internazionali e nazionali, confermano il suo straordinario talento. “Maison Maravilha”, il suo secondo album, pubblicato nel 2009, conquista i mercati di mezzo mondo, distribuito tra gli scaffali giapponesi, nordamericani ed europei. Ma è nel 2012, con l’album  “Respiro”, che Joe Barbieri conquista maggiore spazio ed attenzione in Italia, grazie al debutto in classifica FIMI, così come in quella di iTunes, spingendosi fino al 16° posto. “Respiro”, pubblicato in oltre 50 paesi, conferma anche il  successo internazionale di Joe Barbieri, invitato a suonare a Tokyo, Madrid, Parigi… Nel 2013 arriva “Chet Lives”, il suo tributo a Chet Baker, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua scomparsa.  Dal 24 marzo 2015, possiamo godere della sua ultima perla musicale, “Cosmonauta d’appartamento”, che contiene undici brani, uniti dal tema del viaggio, con respiri e richiami a culture musicali diverse, fuse con elegante sapienza in un’opera, che seduce, rapisce e conquista.

Da dove nascono le ispirazioni che generano le tue canzoni?

Credo nascano dai dettagli più minuscoli e discreti, da tutte quelle cose che restano in apparenza relegate nell’ombra ma che finiscono in realtà per fare la sostanza… di un momento, di un sentire.

La tua storia professionale è in parte legata a Pino Daniele, che ricordo hai di lui?

Guarda, io ho conosciuto Pino che era ben più giovane di me oggi… non aveva nemmeno quarant’anni e invece mi pareva che esistesse da sempre… è grazie a lui che ho iniziato a fare musica da professionista, è stato lui a produrre le mie prime cose, a “scoprirmi”.  Avevo appena fatto l’esame di maturità quando mi fece registrare il primo disco, io ero un ragazzetto di diciott’anni ovviamente squattrinato… senza pensarci su mi regalò una chitarra elettrica, che ovviamente conservo ancora.

Oltre che in Italia, hai raggiunto un enorme successo all’estero. Ti immaginavi di arrivare tanto lontano?

Non finisce mai di stupirmi il fatto che una canzone scritta in italiano, cantata in italiano, possa travalicare la mia lingua e possa arrivare senza molti ostacoli al cuore di chi ne parla un’altra. Evidentemente la musica può avere un linguaggio suo, più sotterraneo, più basico, che se ne infischia dei passaporti. Ad ogni modo io pur sentendomi profondamente napoletano, italiano, devo dire che alla fine il mondo è la mia casa, e il mio cappello lo appoggio lì dove mi sento bene.

La tua musica crea atmosfere particolari, spesso poco convenzionali, che superano i confini non solo geografici, ma anche musicali, sposando stili e suoni diversi, che ben si incastrano in una tua cifra distintiva. Quali sono le radici della tua musica e come si lasciano innestare dalla ricerca del nuovo o dell’esotico?

Ovviamente il modo in cui la musica napoletana e la musica classica italiana sviluppano le loro melodie fa radicalmente parte del mio bagaglio genetico, sicché finisco per applicare questi stilemi a qualsiasi genere con il quale provo a giocare. Non penso mai mentre scrivo, ma lascio che tutto fluisca ad un livello vicino al puro istinto, è un processo molto simile al flusso di coscienza, durante il quale affiorano memorie musicali e personali che prendono una forma autonoma e indipendente dalla mia volontà. Io divento quasi un semplice spettatore.

I tuoi dischi sono ricchi di importanti e prestigiose collaborazioni con artisti di tutto il mondo, come Omara Portuondo, Jorge Drexler, Stacey Kent, Luz Casal, Hamilton De Holanda, etc… In che modo sono nati questi legami musicali?

Sono nati ascoltando la loro musica, i loro dischi. Quando percepisco la scintilla della pura bellezza in qualche collega ne rimango inevitabilmente ammaliato, irrimediabilmente colpito; e il desiderio di condividere qualcosa si fa immediatamente spazio. A me non resta che assecondarlo per provare a trasformarlo in realtà. E devo dire che fino ad ora mi è quasi sempre andata bene.

C’è una collaborazione impossibile che ti sarebbe piaciuto realizzare con un mito della musica del passato?

Sicuramente con Chet Baker, cui ho tra l’altro dedicato un album due anni fa dal titolo “Chet Lives!”, per ricordarlo nel venticinquennale della sua scomparsa. Ma anche con Billie Holiday.

Il tuo ultimo album ha come titolo “Cosmonauta da Appartamento”. Il titolo rimanda all’idea del viaggio, che sembra proiettarsi nello spazio delimitato dell’appartamento, ma, ascoltando le canzoni, ci si rende conto che si va oltre. Come si origina questo titolo e dove ci porta?

Mah, il titolo è sostanzialmente una constatazione e una provocazione. È una constatazione perché io sono una persona pigra, pur essendo profondamente un amante del viaggiare. Prima di mettermi in movimento però sono renitente, ma quando sono partito benedico il fatto di aver vinto la mia ritrosia… e ad ogni modo la musica – segnatamente lo scrivere musica – mi dà l’opportunità di fare mille viaggi immaginifici pur rimanendo ancorato sul divano della mia casa. E poi, come dicevo, una provocazione; perché di questi tempi, con la tecnologia, abbiamo la percezione illusoria di essere al centro dell’universo senza dover muovere un passo… cosa che ovviamente non risponde alla realtà delle cose. Con questo disco voglio proporre di essere viaggiatori anziché turisti mordi e fuggi del nostro tempo, di sporcarci le scarpe per fare il percorso, di sbagliare strada se necessario, poiché è in questa maniera che scopriamo davvero noi stessi.

In “Cosmonauta da Appartamento” c’è una canzone dal titolo “L’Arte di Meravigliarmi”. Cosa meraviglia ancora Joe Barbieri?

Direi la purezza. La scopro in uno sguardo, in una intenzione, nella gratitudine. Mi meraviglia che tutto ciò possa così tenacemente sopravvivere nell’epoca dell’edonismo e dell’utilitarismo. E quando la vedo da qualche parte, rinasco.

 di Davide MARENA

Source: www.irpinia24.it