“Soli eravamo” – Fabrizio Coscia,il suo libro e il gusto dell’intima ispirazione

Questo pomeriggio, Fabrizio Coscia, giornalista del Mattino, nonché docente e scrittore, è stato ospite al circolo della stampa di Avellino, come calendarizzato nel corso di 'Scrittura creativa', organizzato dal Club dei Grafomani.

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Avellino – E’ sempre difficile raccontare la sensazione che pervade l’animo dopo aver incrociato il lato più intimo della penna di un autore. Forse un vuoto che assomiglia a una pace è quello che meglio può definire il sentimento con cui ci si accosta, sulle prime, alla narrazione della storia di un altro, che sembra già aver detto tutto.

Questo pomeriggio, Fabrizio Coscia, giornalista del Mattino, nonché docente e scrittore, è stato ospite al circolo della stampa, come calendarizzato nel corso di ‘Scrittura creativa’, organizzato dal Club dei Grafomani e patrocinato dall’Assessorato alla Cultura di Avellino. L’incontro con l’autore ha coinciso con la presentazione del suo libro ‘Soli eravamo’, un ‘ibrido letterario’ come ha definito lo stesso Coscia. Nell’orientamento del suo lavoro non è inappropriato dire che si coglie il senso dell’arte per l’arte. E’ un’opera di parallelismi tra vite di letterati, musicisti e pittori accompagnate da riflessioni e memorie personali dello scrittore.

Fabrizio Coscia ha letto per l’occasione il passo ‘Vi chiedo solo di poter finire il mio lavoro’ che riprende essenzialmente il tema della morte violenta di Pierpaolo Pasolini, di Federico Garcia Lorca e di Isaak Babel, mettendo, però in evidenza, il rapporto tra la scrittura e il potere, tra la libertà di espressione e l’ottusità di chi comanda.

Uno dei fili conduttori è certamente la discriminazione, che oltre ad essere una questione di orientamento sessuale, è, forse soprattutto, un fatto di oscuramento di sensibilità e culture sconosciute all’universo che materialmente le distrugge. La violenza non è che il mezzo brutale che elimina il diverso, in un’amara cornice di personaggi illetterati e dimenticati, per contrappasso, dalla storia.

Fabrizio Coscia, oggi, secondo lei, qual è il rapporto tra scrittura e potere?

“Quello che resta di Pasolini è la sua analisi quasi profetica, oggi non esiste più un conflitto tra artisti e potere, nel senso che il potere ha annullato qualsiasi tipo di possibilità o opposizione. E’ il mercato che decide. Paradossalmente era più semplice opporsi alle dittature, che hanno ispirato le cosiddette scritture eversive. Lo scrittore di questi tempi ha bisogno dell’assenso televisivo, di quello del pubblico. Il successo è frutto di una prosa semplice, che ammicca al pubblico giovanile, ma non bisogna pensare che tutto il resto non esista o sia difficile. La scrittura non deve essere necessariamente di opposizione, la scrittura di per sé è eversione. Lo scrittore, a mio avviso, dovrebbe mostrare ciò che c’è dietro alle storie, decostruendo e destrutturando”.

Come si possono salvare i classici dal trionfo del consumo di storie?

Leggerli è il miglior modo di tutelarli. Questo lavoro è anche figlio della mia difficoltà, di anno in anno, di insegnare a scuola i grandi autori. La cultura umanistica e non ‘umanista – riferendosi alla lezione di Renzi – va sempre più allontanandosi. Non si comprende che la letteratura fa parte della vita, che chi legge ritorna sempre alla vita”.

Cogliendo lo spunto su Renzi, ecco lei non crede che la nuova riforma scolastica non voglia dire nella selezione dei docenti operata dal dirigente scolastico anche selezione di ciò che si insegna?

Ormai la scuola risponde a un modello aziendale in cui Renzi non è che l’esecutore di un neoliberismo selvaggio. Il dirigente scolastico sarà un dirigente d’azienda. Alla scuola non si delega più l’educazione, ci sarà sempre meno spazio per il pensiero critico. E’ essenzialmente l’applicazione di un sistema verticistico”.

Da dove viene la scelta del titolo ‘Soli eravamo’?

E’ il titolo di uno dei racconti nel mio libro. Siamo nel V canto dell’Inferno di Dante, quando Francesca racconta al sommo poeta, del suo innamoramento con Paolo. ‘Soli eravamo e sanza alcun sospetto’. Bene si addiceva al mio lavoro, che volendolo apostrofare è il racconto di una passione”.

‘Gli amanti non possono desiderare altro che continuare a vivere, per continuare ad amarsi’ riprendendo Fabrizio Coscia, così la missione dell’arte, in ogni sua forma, è il perdurare nel tempo perché ancora ci sia qualcuno disposto ad amarla.

di Francesca Contino

Source: www.irpinia24.it