De Conciliis (Fdi-An): “Dove c’è disagio porteremo le nostre bandiere”
Il candidato 35 enne Ettore De Conciliis, già consigliere provinciale per 2 volte, è stato raggiunto da Irpinia24 per un'intervista sui contenuti del suo programma e sugli obiettivi della sua azione politica
Avellino - Possessore della tessera del Fronte della Gioventù già all’età di 14 anni, eletto in qualità di consigliere provinciale all’età di 25 e successivamente riconfermato per un secondo mandato, sull’orlo del suo 36° compleanno (compirà gli anni il prossimo 2 giugno), Ettore de Conciliis ha concesso un’intervista ad Irpinia24 per discutere della sua candidatura alle elezioni regionali del 31 maggio tra le fila di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale.
Iniziamo con una domanda di rito: perché votare Fdi-An e De Conciliis alle prossime regionali? E come spiega la scelta di sostenere Caldoro?
Fratelli d’Italia rappresenta la novità assoluta del centrodestra e anche del quadro politico ed è un partito che rappresenta la coerenza del fronte d’opposizione a Renzi. Le altre forze del centrodestra hanno atteggiamenti solidali o consociativi con Matteo Renzi. Noi, invece, pratichiamo la linea dura dell’opposizione contro questo Governo che fa male all’Italia, che al massimo si potrà definire telegenico ma non costruttivo. Abbiamo scelto di schierarci con Caldoro nel convincimento che sia stato un buon amministratore che ha saputo rimettere in ordine i conti dopo il decennio di Bassolino, che ha comportato gravi difficoltà economiche alla Regione, che poi si sono tradotte nelle gravissime carenze strutturali relative alla crisi dei rifiuti e a quella della sanità. Caldoro, però, dopo questi 5 anni di oculatezza finanziaria, oggi si impegna a fare investimenti. La destra sociale che noi rappresentiamo vuole portare gli investimenti dove ce n’è bisogno non solo dove ci sono più voti. Ecco perché votare Fratelli d’Italia.
A chi si rivolge la vostra azione politica?
Forti come siamo, e come cerco di essere, c’è un’interlocuzione che si svolge su due livelli. Da un lato ci rivolgiamo alle gloriose comunità di An, che anche in questa provincia hanno avuto tanto sostengo e adesione; dall’altro anche a quelle giovani generazioni che An non l’hanno conosciuta ma che ne hanno raccolto la sensibilità sociale e ne vogliono interpretare la cultura politica nella custodia delle tradizioni e dell’italianità. Inoltre, tutti i sondaggi ci danno in crescita e ciò ci permette di affrontare quest’esperienza con ancora più serenità, specie perché non abbiamo apparati, eserciti di consiglieri o consorterie ma solo partecipazione dei cittadini. Ci riteniamo già soddisfatti di ciò e lo saremo ancora di più se riusciremo a portare la voce dell’Irpinia nel contesto “napolicentrico”.
Come si intende portare sollievo alle fasce sociali più bisognose di cui ha parlato?
Bisogna innanzitutto pensare che si porta giustizia sociale se si porta lavoro. È l’assenza di lavoro che ha portato al collasso del welfare in Campania e, in particolar modo, nelle aree interne. Per farlo serve una strategia che sappia aiutare chi ha voglia di intraprendere e che sappia valorizzare le peculiarità del territorio irpino. L’assenza di lavoro determina l’assenza di serenità e di stabilità economica e mette in crisi il radicamento delle famiglie, che così perdono la parte più giovane. Lavoro è sviluppo, è benessere, ma significa anche continuità del territorio. È ovvio che laddove manca, il territorio si depaupera delle proprie risorse migliori.
Quali interventi andrebbero fatti per garantire quanto detto?
Da un lato dobbiamo sviluppare il lavoro in maniera strategica con tutte le imprese. Non si può vivere di solo pubblico. Dobbiamo però anche tutelare il lavoro che già c’è, che è vessato da burocrazia e fisco ma anche dalle concorrenze sleali rispetto a prodotti che vengono da altrove, anche dall’altra parte del Mondo. C’è poi anche il problema della manodopera straniera, che lavora a condizioni inferiori rispetto a quelle che sono necessarie per reggere il nostro modello di vita. Siamo comunque disponibili nei confronti di chi emigra verso l’Occidente e l’Europa ma siamo consapevoli che l’Italia, che già vive un collasso del proprio sistema economico sociale non possa più ospitare. È una questione algebrica.
E nel concreto che misure verranno prese per il rilancio economico in caso di vittoria alle elezioni?
Noi immaginiamo la creazione di distretti di prodotti agricoli di qualità che sappiano dare voce alla vocazione del territorio. A volte si perdono le opportunità perché non c’è rete tra chi produce e non si riescono ad intercettare le possibilità che l’Europa pur concede alla produzione agricola. Molti prodotti sono già noti e tutelati ma c’è tutto un universo relativo alla piccola produzione agricola che, non essendo connessa agli altri produttori, vive questo rapporto con l’industria della trasformazione in una maniera debole che crea squilibri. Bisognerebbe rafforzare la piccola produzione proprio per questo. Occorre che le istituzioni conoscano direttamente queste realtà. Lo scollamento tra politica e cittadini deriva dal fatto che vivono in mondi diversi e la prima non è in grado di tracciare delle proposte. Poi c’è anche un discorso culturale che secondo me va fatto. Se credi che dalla terra, oltre a fiorire un raccolto, si origina anche una tradizione, che in essa c’è fatica e sudore ma anche speranza per le prossime generazioni, si è data un’identità al prodotto. Se la filiera produttiva diventa solo speculazione la si depaupera della ricchezza identitaria e così le si sottrae anche la ricchezza agraria, che la civiltà contadina ha. Dobbiamo seguire la tradizione rimanendo al passo con la modernità della tecnologia e dei servizi. Quanto la Regione possa fare per simili questioni è da vedere ma, ripeto, dopo 5 anni di oculatezza finanziaria è arrivato il momento degli investimenti strategici su comparti precisi, specie il turismo. Non dimentichiamoci che l’Expo è nato sotto un sindaco e un governo nazionale entrambi di centrodestra.
Un’ultima domanda: De Luca ha parlato di un «disastro» riferendosi ai 5 anni di governo Caldoro, specie in tema di sanità. Che cosa ne pensa?
L’unico disastro della sanità che conosco è quello delle giunte di centrosinistra precedenti quella di Caldoro. Dobbiamo sviluppare un nuovo modello di sanità che non vede più la logica aziendale nell’erogazione dei servizi sanitari. I presidi sanitari rientrano sempre nel discorso del welfare di prima. La provincia di Avellino ha subito tagli ma è anche vero che non aveva mai affrontato prima un discorso strategico serio fino a Caldoro, perciò, dal mio punto di vista, non è un problema chiudere reparti poco sfruttati. Il problema è un altro. Ad Avellino c’è una struttura moderna ma i 120 comuni non sono ben collegati e dobbiamo quindi diffondere dei punti di primo intervento. È questo che serve: la risposta immediata in caso di urgenza. Poi i reparti e la chirurgia possono anche essere più concentrati. Inoltre, la sanità di questa provincia ospita moltissimi degenti di altre province e, siccome la sanità è aziendale, questi sono clienti eccedenti il proprio bacino di riferimento che sottraggono posti letto. Quando si ragiona in termini di costi, noi siamo anche d’accordo con la creazione di una Centrale Unica di Committenza perché non possiamo chiedere più risorse nel momento in cui esistono ancora voragini: basti pensare al costo delle attrezzature mediche in Campania rispetto alle altre regioni. Inoltre, una simile centrale risolverà anche le infiltrazioni nei servizi perché noi vogliamo risparmiare su sprechi e rami secchi per investire in salute e professionalità.