Relatori illustri al Moscati di Avellino sul tema “I minori e la violenza”
Rosetta D'Amelio (PD): "Si deve lavorare con le istituzioni sanitarie, giudiziarie, scolastiche affinché si possa creare un punto d’incontro importante dal punto di vista educativo"
Avellino – L’aula Magna “Antonino Sanfilippo” dell’Azienda Ospedaliera “San Giuseppe Moscati” di Avellino ha ospitato nella giornata di ieri, venerdì 17 aprile, il convegno “I minori e la violenza: maltrattamenti, abusi, discurie, ipercura”. L’evento, promosso dalla Dott.ssa Mirella Galeota in collaborazione con l’associazione Lions Clubs International Distretto 108 YA e patrocinato dall’Unicef, ha visto l’alternarsi degli interventi di illustri relatori del mondo medico, accademico e politico che hanno affrontato il delicato argomento nelle sue diverse sfaccettature.
Dopo i saluti del Direttore Generale dell’Azienda “Moscati”, Giuseppe Rosato, e del Presidente Lions Club Avellino Host, Concita De Vitto, hanno aperto i lavori del convegno Mirella Galeota e Maricetta Speranza Sanfilippo, responsabile del nuovo service distrettuale Lions Violenza sui minori. Donatella Palma, medico-chirurgo presidente dell’Associazione Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza in Rete Campania, ha fornito quindi indicazioni per riconoscere le violenze e gli abusi sui minori, mentre la psiconalista Maria Luisa Califano, componente della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica, ha parlato del significato psicodinamico della violenza. La mattinata si è chiusa con gli interventi del neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale Aldo Diavoletto, che ha parlato della violenza negli adolescenti, e della psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva Rosanna Gentile, che ha relazionato sulle forme della violenza.
I lavori della sessione pomeridiana si sono aperti con l’intervento, moderato dalla giornalista Marina D’Apice, del neuropsichiatra infantile Carlo Barbati, giudice onorario presso il Tribunale per i minori di Napoli che ha illustrato la dicotomia tra memoria e violenza; Barbato ha sottolineato che “il minore è una persona ed è la persona maggiormente esposta a condizioni di violenza diretta e indiretta questo perché il minore è tale, ovviamente, per struttura fisica ma anche per struttura psicologica essendo una personalità in costruzione”.
“Quando pensiamo alle violenze – spiega Barbati – pensiamo innanzitutto a quelle che danno un’evidenza clinica come ecchimosi, graffi, bruciature, che sono indice di una violenza diretta e testimonianza della stessa non solo per chi la procura ma soprattutto per il bambino che la vive. Tuttavia – prosegue – le violenze non danno sempre segni evidenti ed è proprio in questi casi che diventa difficile riconoscerle”.
Nel lungo intervento del Dott. Barbati la trattazione del problema è stata di taglio prettamente medico e quello che è emerso ci ricorda che, spesso, chi è stato vittima di violenza ha una probabilità maggiore di sviluppare comportamenti violenti e di diventare, a sua volta, carnefice. Ed è proprio per questo che gli interventi medico-istituzionali devono sì riguardare il recupero del bambino ma anche quello dell’intera famiglia che, più di una volta, si rivela luogo della violenza.
Il testimone è stato successivamente passato a Pasquale Andria, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Salerno, che ha relazionato sul tema “La giurisprudenza come interviene?”. Come lo stesso Andria ha sottolineato, il suo intervento ha rappresentato una rottura d’ambiente poiché si è passati da una trattazione medica ad una giuridica dell’argomento. Nelle intenzioni di Andria c’è soprattutto la volontà di far cadere quella che egli stesso definisce “una congiura del silenzio” circa le violenze e in particolare le violenze in ambito domestico “credo che l’esperienza degli ultimi due o tre decenni che abbiamo fatto nella rilevazione della casistica degli abusi commessi in ambiente familiare in qualche modo serva, credo anche beneficamente, a liberare la famiglia da una certa retorica sacralizzante per cui essa è per definizione il luogo della protezione, il luogo delle relazioni primarie e quindi il ruolo educativo per antonomasia e delle relazioni affettive intangibili dall’esterno, tant’è che ogni intervento regolativo, all’interno della famiglia, viene percepito come un’intrusione”.
“Le stesse narrazioni mediatiche – prosegue Andria – sono improntante su questa sorta di difesa della famiglia come luogo dell’intimità ma la famiglia, purtroppo – aggiunge – nell’esperienza storica, è spesso luogo di indicibile violenza, di indicibili sopraffazioni. Basti pensare al ruolo che hanno i bambini nelle contese genitoriali. Rubo le parole a Sergio Piro per dire che i bambini nelle contese tra i genitori sono come i civili in guerra”.
“Un altro aspetto di criticità, più vicino alla parte giuridica, deriva dalla frammentazione degli interventi; cioè – spiega – sulla stessa vicenda, che ha per oggetto una violenza su un minore, intervengono più giudici e non sempre questi interventi sono coordinati, spesso, al contrario, rischiano di sovrapporsi e in qualche modo anche di interferire in modo disturbante. A questa difficoltà però si sta cercando di porre rimedio attraverso l’uso dei protocolli, strumenti di contaminazione e unificazione dei linguaggi, tra le varie autorità giudiziarie”.
“Credo nell’utilizzo dei protocolli – motiva Andria – perché si evita di andare incontro ad una vittimizzazione secondaria per cui oltre al trauma dell’abuso, si aggiunge il rischio distruttivo del trauma della verifica dell’abuso stesso. Per cui – sostiene – un approccio corretto in un processo per abuso è quello che contempla l’interdisciplinarietà. Inoltre, i tempi si ricerca della verità non possono prevalere sui tempi di superamento del trauma del minore: bisogna rispettare i tempi della vittima nei tempi del processo”.
Secondo Andria “il processo non serve solo ad accertare la verità ma serve anche al minore vittima per riconquistare fiducia nell’adulto. Il processo serve anche a curare, è terapeutico, perché – sostiene – è impossibile curare senza fare giustizia e tuttavia le esigenze terapeutiche del minore sono più importanti delle esigenze processuali. Pertanto, il saper giuridico – conclude – non basta a sé stesso”.
Con la chiosa dell’intervento di Andria hanno preso il via i lavori della tavola rotonda a cui hanno preso parte il consigliere della Regione Campania Rosa D’Amelio, presidente della II Commissione consiliare speciale in materia di politiche giovanili, lo psichiatra psicoterapeuta Antonio Acerra, Direttore della sede di Avellino della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare, il neurofisiopatologo e neuropsichiatra infantile Salvatore Bagalà, direttore del Dipartimento Materno-Infantile dell’Asp di Crotone e il deputato parlamentare Guido Milanese, direttore dell’Unità operativa di Psichiatria dell’Asl Salerno 3.
La parola è subito data al Dott. Acerra per il quale “non bisogna guardare alla famiglia come causa ma capire quali sono i fattori di rischio all’interno della famiglia stessa. C’è bisogno – aggiunge – di una maggiore lettura di contesto, di comprendere i pattern silenti, le relazioni invisibili all’interno della famiglia, come il rifiuto, l’isolamento, lo sfruttamento che sono all’origine dell’abuso psicologico”.
“Pertanto – conclude in breve Acerra – è la famiglia stessa ad aver bisogno di esse presa in carico, non solo l’abusato”.
È poi la volta del consigliere della Regione Campania Rosa D’Amelio, presidente della II Commissione consiliare speciale in materia di politiche giovanili che interviene in merito al ruolo delle istituzioni: “C’è bisogno di molto lavoro dal punto di vista istituzionale perché c’è molta approssimazione; non basta la scrittura di una legge se poi non è applicabile perché avulsa dalla realtà”.
“Si deve lavorare con le istituzioni – precisa la D’Amelio – sanitarie, giudiziarie, scolastiche affinché si possa creare un punto d’incontro importante dal punto di vista educativo. E proprio per questo – conclude – bisogna investire soprattutto sulle risorse scolastiche. È questa la sfida per le istituzioni: puntare alla trasversalità degli interventi”.
Le conclusioni della tavola rotonda sono state a Renato Rivieccio, Vicegovernatore del Distretto 108 YA il quale ha auspicato che “dalla tavola rotonda sia venuto fuori un contributo concreto e reale su ciò che c’è da fare e su ciò che possiamo fare”.