Il bilancio della L.I.D.A. dopo la chiusura della stagione di caccia
I danni all’ambiente e alla fauna sono incalcolabili
Avellino – Anche quest’anno a più di un mese dalla chiusura della caccia (ufficialmente chiusa il 31/1/2015 ma in Campania purtroppo il 9/2/2015) ci si ritrova a fare i conti con il solito bollettino di guerra; se analizzassimo i dati delle vittime causate da quest’assurda pratica ormai anacronistica (circa l’80% degli italiani è ormai contrario) potremmo tranquillamente alludere alla guerra.
Ogni qualvolta una guerra finisce, si contano i caduti e i feriti; anche quest’anno il numero delle vittime è stato inquietante, secondo i dati dell’“Associazione Vittime della Caccia”, questa stagione venatoria ha portato con sé un tragico bilancio: le vittime registrate tra settembre 2014 e gennaio 2015 sono ben 82, di cui 22 morti e 66 feriti tra cui si contano 4 morti e 21 feriti tra i civili.
I danni all’ambiente e alla fauna sono invece incalcolabili (riguardo ai danni ambientali numerose ricerche hanno dimostrato come il munizionamento da caccia rappresenta una fonte non trascurabile d’inquinamento da piombo, in grado di avvelenare gli uccelli selvatici, contaminare il terreno e determinare un rischio sanitario per l’uomo).
Incalcolabili sono anche le infrazioni che vengono commesse durante e oltre la stagione venatoria; tra i reati più frequenti da chi imbraccia un fucile, abbiamo l’abbattimento di fauna protetta, l’utilizzo di mezzi vietati come richiami o tagliole, il mancato rispetto delle distanze previste dalla legge per cacciare vicino alle abitazioni, strade o luoghi di lavoro; la caccia con documenti non in regola o lo svolgimento della stessa pratica anche a stagione venatoria ormai conclusa, anche a livello locale, come testimonia il caso avvenuto in località Morroni, frazione Bonito (AV) il 7/03/2015 dove, al passaggio migratorio di gru e aironi sono stati avvertiti degli spari.
Diverse situazioni provano altri tipi di reati, assolutamente da non sottovalutare, come ad esempio il blitz avvenuto(sempre a livello locale) a Taurasi (AV), in cui durante il normale servizio di vigilanza, le guardie ambientali dell’organizzazione ambiente “e/è vita” hanno individuato tre scrofe di cui 2 gravide e una con sette cuccioli ibridi; nelle immediate vicinanze le stesse guardie si sono imbattute in tre noti bracconieri del posto che hanno prontamente giustificato la loro presenza in quel dato luogo e in quel preciso momento, dicendo che era dovuta al fine di recuperare i loro cani da caccia.
Come si sa, l’illecita immissione di animali ibridi e non sul territorio, può provocare danni irreparabili all’ambiente e all’ecosistema, oltre che a cagionare rilevanti danni all’agricoltura.
La scellerata re-immissione sul territorio di specie ibride e di cinghiali anche provenienti dall’est europeo, ha determinato una forte espansione territoriale della specie che secondo le stime è quintuplicata negli ultimi trent’anni e, secondo alcune notizie pervenute dalla Regione Campania, si rende noto che la Provincia di Avellino è una di quelle con la più alta percentuale per richieste di risarcimento danni da parte degli agricoltori in relazione al problema del sovraffollamento della specie suina in questione.
Va ricordato che la stessa attività della caccia fa aumentare il numero delle specie comuni. Diversi studi testimoniano, infatti, che la fertilità dei cinghiali è notevolmente più alta quando la caccia è intensa.
Entrando più nel dettaglio, si può affermare che tanto più la caccia è intensa, tanto prima la maturità sessuale dell’animale viene raggiunta precocemente, a meno di un anno di età. Altro fattore che provoca la proliferazione smoderata della specie è invece ricollegabile alla delicata struttura sociale della specie cinghiale. Una femmina di cinghiale dominante, che va in estro una volta all’anno, guida il gruppo. Il cosiddetto sincronismo di estro fa sì che le altre femmine del gruppo siano feconde contemporaneamente. Inoltre essa trattiene i giovani ed impedisce in tal modo maggiori danni alle coltivazioni.
Se la femmina dominante viene uccisa, il gruppo si disperde, gli animali senza guida irrompono nei campi, tutte le femmine diventano feconde più volte nell’anno e si riproducono in modo incontrollato.
Altra cifra inquietante che statisticamente riappare con l’inizio dell’attività venatoria è quella che riguarda l’abbandono dei cani da caccia.
Si stima che circa il trenta per cento degli abbandoni avvengono nel periodo della stagione venatoria, vittime di questo ignobile atto i cani ritenuti non più abili; per combattere questo problema (ma non solo) vige da molti anni la legge 281, che impone di iscrivere l’animale all’anagrafe canina e di dotarlo di microchip, legge esistente ma purtroppo quasi mai applicata.
Oltretutto, va ricordato che tutto ciò contribuisce anche ad incrementare il business dei cosiddetti “canili-lager” dove vi è un lucroso giro di affari.
Per ogni animale accalappiato e chiuso in un canile, un comune affronta la spesa, di circa mille euro all’anno. Nella gran parte dei casi questo flusso di denaro non evita che i cani siano malati, malnutriti, stipati in gabbie sovraffollate e alla fine destinati a morte.