Mirabella – Mastandrea incontra il regista Ilhan

aliilhanMirabella - Enrica si guadagna da vivere come sarta, venditrice ambulante di abbigliamento e affittacamere alle studentesse. L’anziana donna non vuole uomini in casa perché da giovane è stata abbandonata dal marito e ha dovuto badare da sola al figlio, con cui ha un rapporto conflittuale. Giovanni è cresciuto in collegio e senza amore materno, cercando da adulto, riparo nell’alcool. Un giorno, per una buffa coincidenza, la donna si ritrova ad affittare una stanza a uno studente turco, Elkin, che non conosce una parola di italiano. Sarà l’inizio di una convivenza tutt’altro che facile, ma con il passare del tempo Elkin riuscirà a far breccia nel suo cuore. Tra i due nascerà un forte rapporto di amicizia e attraverso Enrica, che gli insegnerà dalla lingua italiana, a come si corteggiano le ragazze, Elkin imparerà a diventare Italiano. Questa la trama del film d’esordio del giovane regista e sceneggiatore turco Ali Ilhan, formatosi all’Accademia del Cinema di Istanbul. Nel 2003 già realizzò il cortometraggio Delik (Il buco), selezionato al Locarno Film Festival e nella rassegna Nuremberg Film Festival. Ora “Diventare Italiano con la Signora Enrica” del 2011 è un film in 35 mm, dura 110 minuti, è prodotto da Ares Media e si avvale oltre che della Cardinale, protagonista, di un cast composto da Lavinia Longhi, Ismail Hacıoğlu, Teoman Kumbaracıbaşı.

Floriana Mastandrea ha incontrato Ilhan a Mirabella Eclano durante il Festival dedicato alla sceneggiatura Scrivere il cinema (ideato e diretto da Giambattista Assanti), giunto alla XXII edizione, dove il suo film è stato premiato come miglior opera prima.

Com’è cominciata l’avventura in Italia?

Dopo aver visto La vita è bella, mi sono appassionato all’idea di visitare l’Italia. Dopo una visita a Verona per un concerto di Ennio Morricone ho incontrato Enrica, l’ispiratrice del film. Sono stato da lei un mese: durante un pranzo di Natale ho scattato una foto suggestiva, subito commentata come un possibile futuro film meraviglioso. Da quel momento è scattata l’idea del lungometraggio e così poco dopo, ho cominciato a scrivere la storia. In quel periodo parlavo poco l’italiano e ho avuto anche delle difficoltà a cercare la produzione, tanto che mi sono rivolto a produttori del mio Paese, dove, nel giro di un mese ho avuto la fortuna di trovare un produttore. Sono così andato a Parigi e ho fatto leggere la sceneggiatura alla Cardinale, con la quale è scattato immediatamente un buon feeling.

Quale messaggio vuoi trasmettere attraverso il film?

Da ogni incontro, dall’ascolto e dall’accoglienza, si può trasmettere conoscenza. Si deve imparare a voler imparare, a superare gli stereotipi, ognuno può imparare dall’altro, basta volerlo. Per me non esistono confini geografici, né tra le persone e così sarà sempre, anche per la realizzazione e i temi dei miei film.

È stato difficile lavorare con Claudia Cardinale?

All’inizio lavorare con la Cardinale mi spaventava, temevo di rimanerne schiacciato, ma lei mi ha messo a mio agio. Dopo tre settimane ha voluto che la chiamassi Claudia e quando le chiesto perché non mi dava qualche consiglio, mi ha risposto che rispettava i registi, a cui dava massima fiducia. Intendeva che, se come regista avevo avuto il coraggio di chiamarla, dovevo assumermene fino in fondo la responsabilità.  Abbiamo girato il film tra Rimini e Istanbul: una settimana a Rimini e tre Istanbul, per gli interni.

Ti ispiri a qualche grande regista?

Adoro Sergio Leone, ma quando scrivo un film, talvolta somiglia al genere di Billy Wilder, come nel caso dell’ultimo lavoro appena finito con Francesco Colombo. Amo molto Antonioni, Bergman, ma ancor più Fellini, tanto che sono rimasto a lungo a Rimini, città dove lui ha vissuto e poi come lui, sono venuto a vivere a Roma. Chissà che come lui, non faccia lo stesso percorso, non solo da Rimini a Roma. Sento nel contempo l’esigenza di trovare un mio linguaggio, un mio modo di vedere, una mia strada precisa, poiché i tempi sono cambiati, il linguaggio espressivo cinematografico non è più quello degli Anni Settanta – Ottanta.

In questo momento, non è più facile produrre film a Istanbul?

È vero, gli amici mi dicono che lì si lavora tanto, molto più che in Italia, si vincono premi, anche internazionali, insomma, vorrebbero farmi tornare. A me non interessa vincere premi, quanto piuttosto la sincerità anche delle piccole realtà come quelle di provincia, come questa, ma ancora di più mi interessa riuscire a far sorridere la gente. Vedo il mio futuro ovunque nel mondo, con il desiderio, attraverso i miei film, di regalare il sorriso e l’ironia, che oggi scarseggiano. Voglio arrivare al cuore del pubblico e regalare un po’ di allegria, anche solo un piccolo sorriso, nonostante il momento di grande preoccupazione, perché, per dirla con Cechov: “se la vita non ti fa ridere vuol dire che non hai capito le battute”.