Alto Calore, ecco le note per l’Assemblea dei soci

altocaloreAvellino - La composizione dei consigli di amministrazione delle società partecipate è stata regolata dall’art. 4, comma 4 e 5 della legge 135/2012 (spending review). Tale norma, allo scopo di alleggerire i costi di funzionamento delle società a partecipazione pubblica, aveva stabilito che queste potessero essere amministrate da consigli di amministrazione di 3 o 5 membri, di cui 2 dipendenti dell’ente dominus nel primo caso e 3 dipendenti dell’ente dominus nel secondo. Nel caso di Alto Calore servizi spa, trattandosi di società di proprietà di enti locali, i dipendenti cui riferirsi sono quelli dell’insieme degli enti locali soci.

Il quadro normativo si compone non solo dell’articolo 4, comma 5 della legge sulla spending review, ma anche dell’articolo 1, comma 729 della legge 296/2006: entrambe le disposizioni prevedono una composizione dei consigli di amministrazione di 3 membri e di 5 membri, per le società a capitale interamente pubblico se si riscontra una particolare rilevanza e complessità delle attività svolte. La legge stabilisce altresì che “è comunque consentita la nomina di un amministratore unico” sia nel caso di società che svolgono attività strumentali che in quelle che gestiscono servizi pubblici.

La “spending review” ha risolto il problema del contenimento dei costi, ma ha immediatamente ingenerato commistione tra la figura del soggetto controllato e quella del controllore, scaturente appunto dall’obbligo di inserire nell’organo di amministrazione dipendenti degli enti partecipanti. Questi stessi enti sono chiamati a verificare correttezza, efficienza, efficacia e risultati della società partecipata.

Il potenziale conflitto di interessi è stato subito evidente al punto che si è reso necessario reintervenire con una nuova disposizione legislativa, la 190/2012 che ha delegato il governo ad adottare un decreto legislativo in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi. Il governo, per altro lo stesso che aveva varato la “spending review”, ha emanato il dlgs 39/2012 che oltre a prevedere l’incompatibilità per coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da enti locali (Provincia, Comune o un’unione di Comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti), non lascia dubbi interpretativi sulla incompatibilità/inconferibilità di incarico per chiunque ricopra, nelle amministrazioni locali che svolgono attività di controllo sulle partecipate, “incarichi amministrativi di vertice e incarichi dirigenziali, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, che comportano poteri di vigilanza o controllo sulle attività svolte dagli enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione che conferisce l’incarico”.

Nel caso, invece, si dovesse ricorrere alla nomina di dipendenti privi di funzioni dirigenziali, l’art. 2 comma 2 dlgs 39/2013 (“Ai fini del presente decreto al conferimento negli enti locali di incarichi dirigenziali è assimilato quello di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale, nonché di tali incarichi a soggetti con contratto a tempo determinato, ai sensi dell’articolo 110, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267.”) stabilisce con chiarezza che questa fattispecie è assimilata a quella di attribuzione di funzioni dirigenziali a personale non dirigenziale con tutte le conseguenze normative ed economiche che ne derivano. Sarebbe impraticabile anche la scelta di incaricare il segretario comunale. A parte la circostanza che detto funzionario non è un dipendente dell’ente locale, in ogni caso per la sua funzione di responsabile anticorruzione, l’incompatibilità con cariche amministrative nelle partecipate è di clamorosa evidenza.

Il potenziale conflitto d’interessi che era stato l’oggetto della delega affidata al governo, viene risolto, quindi, stabilendo la drastica incompatibilità tra la condizione di dipendente degli enti pubblici e l’assunzione di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione o ente pubblico che conferisce l’incarico stesso.

Non si tratta allora di una normale, quanto clamorosa, contraddizione tra due norme: si deve tener conto che il dlgs 39/2012 è stato emanato per risolvere il conflitto d’interessi scaturito dalla legge sulla “spending review” e che, pertanto, non è possibile considerare l’articolo 4, commi 4 e 5, della legge 135/2012 alla stregua di «norma speciale», non derogata da disposizioni generali successive. Ed infatti l’articolo 17 del dlgs 39/2012 sanziona la violazione delle disposizioni su inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi con la nullità e l’articolo 18 successivo prevede anche specifiche sanzioni. Dunque, il dlgs 39/2013 è norma che prevale sulla spending review, visto il valore assoluto della sanzione della nullità.

In definitiva, è l’articolo 4, comma 4, della legge 135/2012 ad indicare l’unica soluzione attualmente percorribile: «È comunque consentita la nomina di un amministratore unico». Dunque, quella che è indicata come una facoltà (nomina dell’amministratore unico), alla luce del dlgs 39/2013 diviene una scelta obbligata. Non solo si evita di incorrere nel conflitto di interesse, imposto dal dlgs 39/2013, considerato che l’amministratore unico può essere ben individuato al di fuori dei dipendenti degli enti partecipanti, ma si realizza una soluzione ottimale sul piano della univocità gestionale ed amministrativa, priva dei condizionamenti e delle invadenze della politica, ed inoltre si conseguirebbe un significativo contenimento della spesa come è nei presupposti della spending review.

La scelta di affidare la gestione delle società pubbliche o a partecipazione pubblica all’amministratore unico risulta essere l’unica strada percorribile per la soluzione alla contraddizione creata tra l’articolo 4, commi 4 e 5, del dl 95/2012, convertito in legge 135/2012 (spending review) e il dlgs 39/2013 sulle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi. Le società dovrebbero, dunque, modificare statuti e atti costitutivi e rivedere la propria «governance», così da superare i problemi interpretativi e applicativi posti dalle norme.

La Corte dei conti della Lombardia, rispondendo a un quesito, ha altresì chiarito che la strada dell’amministratore unico, indicata dal decreto legge spending review come facoltà a disposizione degli enti locali partecipanti, è percorribile non solo per le società partecipate che svolgono attività strumentali, ma anche per quelle che gestiscono servizi pubblici locali (come nel caso dell’Alto Calore Servizi), in un’ottica di risparmio ed ha chiarito le problematiche applicative determinate dall’articolo 4, comma 5 del Dl 95/2012.

CONCLUSIONI

Nel nominare gli amministratori destinati a ricoprire il ruolo di componente del cda o di amministratore unico, gli enti locali devono tener conto dei nuovi limiti, della incompatibilità/ inconferibilità di incarichi previsti dal Dlgs 39/2013.

Appare evidente, pertanto, che alla luce di quanto innanzi evidenziato, l’odierna Assemblea dei soci di Alto Calore Servizi S.p.A. deve agire in conformità ai dettami normativi sopra citati, in quanto, nel caso si dovesse procedere in contrasto, si rischia di conferire incarichi che possono essere dichiarati nulli con la conseguenza della nullità di tutti gli atti assunti dall’organismo amministrativo e di incorrere, così, nelle disposizioni e sanzioni previste dall’art. 18, comma 1, del Dlgs 39/2012 laddove testualmente cita: “I componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli sono responsabili per le conseguenze economiche degli atti adottati. Sono esenti da responsabilità i componenti che erano assenti al momento della votazione, nonché i dissenzienti e gli astenuti”.