Il commento – Lo sviluppo in Irpinia tra vecchio e nuovo

corso-vittorio-emanuele-avellinoAvellino aspetta con ansia l’elezione del nuovo sindaco. Sono otto mesi, ormai, che il capoluogo irpino è privo di una guida politica, e per una comunità fortemente politicizzata l’assenza del massimo organo amministrativo viene avvertito non poco dalla cittadinanza. Urge l’individuazione di un interlocutore che si faccia carico di affrontare le emergenze che attanagliano la comunità. Oltre all’urbanistica, i servizi, il vero dramma è rappresentato dalle nuove povertà. Si è allargato fortemente il divario tra garantiti e non garantiti. Complice la grave crisi economia che sta attraversando il Paese, ma anche l’assenza negli ultimi anni di una rappresentanza politica, parlamentare, capace di intermediazione e attrazione di investimenti privati sul territorio irpino, atteso che le risorse pubbliche sono legate solo alla grande progettazione europea. La scommessa dello sviluppo è stata persa nella scorsa legislatura, e che in quella in corso, anche per l’incertezza della durata dell’Esecutivo Letta, sembra che non abbia neanche sfiorato i pensieri dei parlamentari irpini. Negli ultimi anni, tante volte, si è avuto da dire sull’impostazione economica e di sviluppo realizzata dalla vecchia classe dirigente, tanti hanno fatto riferimento alla costruzione delle barche in montagna, ma alla critica rispetto a quel tipo di impostazione, nessuno ha osato accennare un modello diverso per la crescita. Il Patto per lo Sviluppo avviato in Provincia è stata più un’occasione di dibattito tra politica e parti sociali, che la concreta organizzazione di una strada verso la ripresa. Il livello della proposta messa in campo non ha brillato certamente per innovazione, ma per riproposizione di progetti riti e ritriti. La discussione sarebbe lunga ed articolata, mentre la sfida della classe dirigente sul tema dello sviluppo è sempre valida e dovrebbe impegnare tutti, in particolare quelli che hanno l’ambizione di mandare “tutti a casa”. Sarebbe interessante, infatti, capire se quelli che predicano il nuovismo esasperato fossero poi capaci di rendere concreto, per l’Irpinia, un modello economico e produtivo diverso da quello avviato negli anni 70, e di cui abbiamo campato di rendita fin qui.