Violenza donne – Tomeo (CamMiNo): “la ratifica della convenzione di Istanbul non basta”

Tiziana TomeoLa Camera Nazionale Avvocati per la Famiglia ed i Minorenni, nella persona della Presidente della sede territoriale di Avellino, avv. Tiziana Tomeo, ricordando il “passo” fatto dalla Camera dei Deputati lo scorso 29 Maggio, approvando all’unanimità la ratifica della Convenzione di Instanbul “sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica”, evidenzia tuttavia, che trattasi di un segnale molto fragile e che necessita di ferme sinergie affinchè sia data vera esecuzione ai dettami della Convenzione.

Infatti, attualmente al vaglio del Senato, per entrare in vigore la legge deve essere ratificata da altri 5 paesi (l’Italia sarebbe la quinta, dopo Albania, Montenegro, Portogallo e Turchia) di cui 8 del Consiglio d’Europa.

CamMiNo ha avuto l’onore in quanto associazione maggiormente rappresentativa che da decenni si prefigge la tutela dei soggetti vulnerabili, di essere stata audita presso la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione e dei diritti umani su: femminicidio e violenza domestica e di genere.

Del resto, CamMiNo ha iniziato uno studio sistematico delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, organizzando eventi e pubblicazioni, promuovendo la conoscenza nel ceto forense, con particolare riferimento all’art. 8 della Convenzione di Roma e alla tutela delle persone, specie nelle relazioni familiari.

Non si può non porre l’accento affrontando il presente tema, sulla difficoltà psicologica di liberarsi del partner violento e certamente sussistono problematiche significative al riguardo: la violenza produce danni anche sulla capacità di autostima e autodeterminazione della persona che quindi si trova spesso priva delle risorse interne primarie per intraprendere le strade necessarie.

Agiscono meccanismi di vergogna e di discredito sociale, ma vi sono anche problemi di dipendenza economica che impediscono di sottrarsi alle condotte violente del partner economicamente più forte, come è ancora spesso nella nostra società l’uomo.

Va anche detto tuttavia che anche il quadro giuridico è sconfortante, dal momento che la vittima di violenza, quando giunge alla difficile e sofferta determinazione di reagire sul piano giuridico, trova pochi strumenti che sono a lenta reattività e la costringono a esporsi alle reazioni ulteriormente e crescentemente violente del partner.

Sono stati individuati dalla nostra associazione, interventi da effettuarsi sia sul piano penale che civile, frazionando gl’interventi e i rimedi decisamente scoordinati, lenti e tardivi.

Non esiste ancora un unico data base nel quale confluiscano esposti, denunce, querele, ricorsi aventi ad oggetto comportamenti vessatori e referti del Pronto Soccorso con eziogenesi da violenza endofamiliare. Ciò da una parte impedisce di poter tracciare la storia del maltrattamento sofferto, i cui episodi – quando denunciati – sono a volte distanziati nel tempo.

L’assenza di un unico data baseimpedisce inoltre di rilevare i dati, di esaminarli e di poter apprestare rimedi efficaci, impedisce d’individuare sistematicamente i soggetti vittime di violenza per il necessario sostegno e quelli autori di atti di violenza anche per interventi di “riabilitazione”.

Tali obiettivi sono tutti indicati dalla Convenzione di Istanbul (artt. 16, 18-26).

La vittima, mentre attende che il sistema giudiziario tardivamente reagisca, continua a rimanere esposta alla violenza quotidiana del partner : occorrono settimane prima che il giudice civile degli ordini di protezione fissi l’udienza e il ricorso deve essere quasi sempre prima notificato e quindi, portato a conoscenza del partner violento; occorrono mesi prima che una denuncia-querela presentata alle forze dell’ordine giunga al Pubblico Ministero che a sua volta impiega troppo altro tempo per verificare la fondatezza della notizia di reato.

Il partner violento, venuto a conoscenza dell’iniziativa giudiziaria, o anche sulla base del mero sospetto, spesso ha una recrudescenza di comportamenti violenti tradizionali; altre volte mette in atto una metamorfosi ingannevole, diviene più subdolo, concretizzando comportamenti di violenza economicacostringendo la vittima ad una resa incondizionata sia sul piano civile sia su quellopenale e soprattutto esistenziale.

Minaccia ritorsioni economiche, taglia le risorse prima dedicate alla famiglia, occulta le proprie reali capacità patrimoniali, costringe il nucleo madre-figli a estenuanti battaglie giudiziarie prima per accertare e poi per ottenere quanto è giusto. Arriva talvolta a comportamenti corruttivi nei confronti dei figli.

La Convenzione di Istanbul opportunamente categorizza anche tale fattispecie (art. 3), rimandando agli ordinamenti interni.

L’avvocatura che si occupa di relazioni familiari è consapevole che spesso vi è una capitolazione del partner più debole, anche a svantaggio dei figli, per l’impossibilità di sostenere i costi di giustizia, per rintracciare le risorse economiche dell’altro partner da questo occultate, per agire in executivis sostenendo una sequela di opposizioni azionate al mero fine di ‘sfinire’ con quello che possiamo denominare ‘abuso di diritto agito a fini di violenza economica’.

A ciò si aggiungano: la massiva archiviazionedelle denunce-querele per singoli episodi, spesso, nell’impossibilità di ricostruire una ‘storia’, considerate manifestazioni di ‘conflittualità familiare’ da riconnettersi alla crisi della coppia, penalmente irrilevanti.

La famiglia in tal modo diventa un ‘far west’ in cui ciò che è illecito fuori delle mura domestiche, diviene invece consentito e irrilevante.

Offrire la prova delle violenze diventa sempre più complesso, in quanto non sussistono nella maggior parte dei casi testimoni diretti e la giurisprudenza non ammette sempre le testimonianze de relato che possono invece offrire, se concordanti e univoche, prova delle violenze subite.

Tali argomentazioni sono alla base delle frequenti remissioni di querele e accordi in sede civile che tali sono solo per la veste formale, ma in realtà sono frutto di violenza economica e minacce e costituiscono una capitolazione anche sul piano esistenziale.

Nella Convenzione di Instanbul si approfondisce la tematica della violenza di genere e la violenza domestica, non solo però quella  contro le donne, anche se evidenzia che sono le donne per lo più ad essere vittime di violenza di genere e domestica.

Gli auspici di CamMiNo, sono stati schematicamente enunciati alla Commissione competente e riguardano interventi nel campo penale, civile ed amministrativo.

Sinteticamente, si può sostenere che sarebbe opportuno recepire le definizioni contenute nell’art. 3 della Convenzione introducendo le relative figure di reato (violenza domestica, violenza di genere, violenza economica e violenza assistita).

Fa il suo ingresso, innovativamente, la responsabilità dello Stato per il comportamento dei propri dipendenti che costituiscono violenza di genere (art. 5 e 29); si segnala l’opportunità di prevedere tale responsabilità per il comportamento dei funzionari, con particolare riferimento a quelli violativi dei diritti della vittima e caratterizzati da discriminazione di genere, attuati in occasione della presentazione di denunce-querele e esposti relativi a violenza subita.

La disciplina contro la violenza è applicabile indipendentemente dal requisito della convivenza, rendendosi così necessaria una ricognizione della normativa interna per verificare in quali casi le relative previsioni vanno emendate in conformità.

Opportuna è inoltre, l’istituzione del Fondo di Garanzia Vittime della Violenza di Genere e Domestica (art. 30): FGVGD e che tale fondo sia alimentato: o con percentuale delle riserve di banche e casse di risparmio devolute per scopi sociali; o con le ammende nei confronti dei mass media se violano norme poste a tutela delle donne e della loro immagine; o con le ammende di cui all’art 709 ter c.p.c. .

Inoltre si potrebbe prevedere anche che vi fossero sempre pene pecuniarie per i reati di violenza da far confluire nel Fondo, con eventuale confisca dei beni ( in parte capiente per la pena irrogata) di coloro che siano stati condannati con sentenza passata in giudicato, qualora non adempiano spontaneamente.

La necessità di prevedere un unico DATA BASE tra polizia, carabinieri e procura della repubblica relativo a denunce querele per violenza di genere e domestica è altrettanto significativo.

Soprattutto prevedere che in tale data base confluiscano i provvedimenti delle autorità giudiziarie (compresi i provvedimenti dei giudici civili emessi in ambito di procedimenti aventi – anche – ad oggetto situazioni familiari nelle quali si siano verificati comportamenti violenti) comunque riferiti a violenza domestica o di genere.

Prevedere che ai dati in esso contenuti in forma anonima abbiano accesso ISTAT, CNR e università oltre che ONG e associazioni autorizzate per ricerche sulla violenza domestica e di genere (art. 11). Prevedere la protezione dei dati (art. 65).

Prevedere che la mediazione e i metodi alternativi di risoluzione di conflitti o misure alternative alle pene (art. 48) siano esperibili in caso di violenza solo se precedute o eventualmente accompagnate o da percorso terapeutico dell’autore.

Prevedere oltre alla linea telefonica di sostegno (art. 24) anche uno sportello informatico, sito internet dedicato e accessi e notizie nei social network.

Alla luce delle considerazioni svolte è evidente che non basta la semplice ratifica per affermare che il femminicidio è finalmente sconfitto.

Chi viene lascito solo è un perdente anche se animato da nobili cause, pertanto la condivisione e la sinergia possono aiutare ad arginare il fenomeno, agendo su più fronti, tutelando la vittima, anche contro i propri ripensamenti, circoscrivendo e “disarmando” l’uomo violento.