Irisbus, catene contro l’indifferenza

irisbus“La coltre dell’indifferenza non calerà sulla vicenda della Irisbus”. Gli operai dello stabilimento ufitano, da mesi in lotta per difendere il proprio posto di lavoro, premono sull’acceleratore della protesta e passano dalle parole ai fatti. Ieri alcuni rappresentanti del comitato ‘Resistenza operaia’ si sono incatenati ai cancelli della fabbrica dismessa dalla Fiat nel mese di luglio del 2011: “E’ l’ultimo urlo di protesta – dicono gli operai – per cercare di salvare il proprio lavoro, la propria dignità, la propria fabbrica”. Toni drammatici che esplicano la disperazione tipica di chi non riesce a vedere all’orizzonte un epilogo positivo per il proprio futuro lavorativo. In quelle catene è possibile ravvisare un duplice significato metaforico, per certi versi tra essi contrastanti: da un lato l’indissolubilità del legame tra loro e lo stabilimento, dall’altro la ‘schiavitù’ nella quale precipita chiunque si ritrova ad essere disoccupato.
Nei volti di Salvatore D’Amato e Alessandro Mongiello – questi i nomi degli operai incatenati – si legge tuttavia, ancora tanta voglia di continuare a combattere, la determinazione di non lasciarsi andare allo sconforto, a tratti anche il sorriso di chi sa che intorno al loro movimento si è coagulato il consenso diffuso dell’intero mondo lavorativo irpino. Nell’immediato, però, l’intento è quello di richiamare l’attenzione delle forze politiche e dei candidati irpini sullo smantellamento delle linee produttive dedicate all’assemblaggio di autobus. E qui il discorso si complica: stando alle indiscrezioni provenienti da fonti sindacali, Fiat Industrial avrebbe siglato una joint venture per la costruzione di autobus in Sud Africa dove dovrebbero essere trasferiti i macchinari presenti ora in Valle Ufita. E bastata la sola indiscrezione a scatenare la reazione delle tute blu che non si stancano di chiedere: “Il nostro è l’unico stabilimento italiano per la produzione di autobus, perché lo chiudono?”.

Ma non è solo questo. Gli operai continuano a denunciare l’inerzia dell’Esecutivo che – a loro dire – nei numerosi incontri tenuti al ministero dello Sviluppo Economico non avrebbe assunto comportamenti e soprattutto decisioni, a cominciare dal piano nazionale del trasporto pubblico, in grado – sostengono – di far recedere la Fiat dalla decisione di chiudere lo stabilimento avellinese. Ora però la decisione di smantellare le linee produttive rischia di vanificare anche l’ipotesi di costituire una nuova società, guidata da Finmeccanica, per riprendere la produzione di autobus in Valle Ufita con il marchio Menarini.

“Quella catena di montaggio – dicono ancora gli operai – rappresenta le nostre mani, lo studio dei nostri figli, la speranza di migliorare. Per questo Marchionne non può essere proprietario delle nostre esistenze, non può strapparle così, la fabbrica non gli appartiene come non gli apparteniamo noi. Ecco il perché dell’incatenamento di stamattina, perché abbiamo bisogno di ribellarci a quanto sta succedendo, il nostro è un grido d’allarme, l’ennesimo, speriamo che stavolta qualcuno lo ascolti”. I lavoratori della Irisbus, circa 400, sono in cassa integrazione fino a dicembre 2013, mentre altri 200 sono stati ricollocati in altre aziende del gruppo Fiat o finiti nel limbo degli ‘esodati’. Riusciranno a riaprire i lucchetti che incatenano le loro esistenze e quelle dei loro familiari? La campagna elettorale in corso sembra troppo concentrata sulle alchimie partitiche per poter raccogliere una risposta concreta dai candidati. Le tute blu non possono che rassegnarsi ad aspettare i primi mesi di marzo per conoscere le intenzioni del nuovo Governo del Paese.

Fonte: Il Sannio quotidiano (Sandro Feola)