Referendum sul divorzio: una vittoria dell’Italia moderna

Quella del 12 maggio 1974 fu una consultazione elettorale dalle vastissime e decisive implicazioni per il Paese

referendum2Cinquant’anni fa, il 12 e 13 maggio 1974, si svolgeva il referendum sul divorzio, il primo referendum abrogativo della storia della Repubblica. Il popolo italiano, con un’ampia maggioranza di circa il 60% dei votanti, confermava la legge “Fortuna-Baslini”, che nel dicembre 1970 aveva introdotto il divorzio nel nostro ordinamento, ponendo fine a una situazione anacronistica e di arretratezza civile. Basti pensare che fino ad allora il divorzio in Europa, era bandito, oltre che in Italia, unicamente nei regimi clerico-fascisti di Spagna e Portogallo e nella ultracattolica Irlanda.
Con l’approvazione della legge n. 898/1970 si restituiva dignità e serenità a tante unioni “irregolari” agli occhi della legge e a tanti figli nati fuori del matrimonio. La figura della donna non si configurava più, nel contempo, come mera destinataria delle decisioni del coniuge ma emergeva all’interno del nucleo familiare come soggetto attivo di diritto.
L’impatto della nuova norma fu notevole e, per certi versi dirompente, soprattutto sulla Chiesa cattolica, che visse l’introduzione del divorzio, oltre che come un attacco alle proprie prerogative (secondo una lettura forzata del Concordato),
come una eclatante manifestazione del processo di secolarizzazione in atto, destinato a porre in crisi il proprio magistero etico-politico sulla nazione italiana. Fu lo stesso pontefice Paolo Vi, con ripetute prese di posizione, a far cadere il proprio anatema sul nuovo istituto.
Le gerarchie ecclesiastiche, dopo aver esercitato una formidabile pressione sul Parlamento e in particolare sulla DC al fine di scongiurare l’introduzione del divorzio, si mobilitarono perciò con solerte determinazione contro la nuova norma, dando vita ai comitati civici i quali, grazie soprattutto all’apporto delle parrocchie, raccolsero nell’arco di pochi mesi oltre
1 300.000 adesioni a sostegno della richiesta referendaria. Tema centrale della propaganda abrogazionista sarà la difesa della famiglia in quanto primo nucleo della società civile: ogni insidia o minaccia arrecate alla prima avrebbero, in quest’ottica, suscitato un movimento di disgregazione destinato a travolgere la società nel suo complesso. Un pessimismo apocalittico che non trovava nessun riscontro nella realtà. Nei tre anni intercorsi tra approvazione della legge e la celebrazione del referendum, infatti, il numero dei divorzi fu nel complesso contenuto : 17164 nel 1971 – primo anno di applicazione della riforma -, 31717 nel 1972 (la maggior parte delle domande risaliva però agli anni precedenti), e 22500, con un netto calo, quindi, nel 1973.
In realtà nel maggio 1974 a contrapporsi erano due concezioni alternative della famiglia: da un lato, una visione formale, tradizionale e gerarchica, a indiscussa supremazia maschile; dall’ altra, un’idea di famiglia paritaria, democratica, elettiva, e perciò reversibile.
Quella del 12 maggio 1974 fu una consultazione elettorale dalle vastissime e decisive implicazioni per il Paese. Da un lato il fronte laico e di sinistra formato da PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI e partito radicale (che, non presente allora in Parlamento, vantava tuttavia una primogenitura sul tema, avendo promosso fin dal 1966 la Lega Italiana per il Divorzio, attivissimo gruppo di pressione); dall’altro la Democrazia Cristiana, presentatasi al voto con la sola, inquietante compagnia del Movimento Sociale, il quale nel 1974 viveva una delle sue stagioni più marcatamente connotate in senso eversivo, tra le violenze quotidiane della “piazza di destra”, voluta dal segretario Almirante per contendere l’egemonia nello spazio pubblico ai movimenti di sinistra, e il coinvolgimento di una parte del suo gruppo dirigente nelle trame nere.
La sconfitta della DC coincise con quella del suo segretario, Fanfani, il quale aveva fortemente voluto il ricorso alle urne (vincendo non poche perplessità all’interno del suo stesso partito), con l’obiettivo
non solo di conseguire una rivincita rispetto alla sconfitta parlamentare del ’70 ma di dar vita a un blocco conservatore, da lui stesso capitanato, in grado di ridimensionare il peso delle sinistre e del movimento sindacale e di traghettare eventualmente il Paese verso una “Seconda Repubblica” di tipo presidenziale. E non aveva esitato, a tal fine, a condurre una campagna elettorale spregiudicata, all’insegna dello scontro di civiltà (in questo pienamente spalleggiato dai settori più retrivi del clero), con argomenti e toni da crociata, quasi a ricreare artificiosamente un clima quarantottesco. In definitiva, una radicalizzazione che alla fine si ritorse contro chi l’aveva suscitata. Lo stesso centro-sinistra, attraversato da innumerevoli tensioni e dalla vita storicamente sempre difficile e contrastata, supero’ sostanzialmente indenne la prova “divisiva”, come si direbbe oggi, del referendum e il governo Rumor V (formato da DC, PSI e PSDI) giunse fino a fine anno, mentre la definitiva crisi dell’alleanza, ad inizio 1976, sarà dovuta a motivi di ordine politico generale, e in particolare alla ricerca, in primis da parte socialista, di una maggioranza in grado di dare nuova linfa alle politiche di riforma e (al cospetto di una DC in crisi di credibilità anche a causa della questione morale) di associare finalmente il PCI al governo del Paese.
Invece la vittoriosa difesa dell’Istituto del divorzio apri’ la strada a ulteriori cambiamenti e conquiste nel campo dei diritti civili, come la riforma del diritto di famiglia, nel 1975 (che introdusse finalmente la parità fra i coniugi ed elimino’ i pesanti retaggi dell’ordinamento di tipo patriarcale) e l’ interruzione volontaria di gravidanza, nel 1978. Proprio quei diritti oggi direttamente o indirettamente sotto attacco da parte del governo ultraconservatore che regge le sorti del Paese, che non a caso si ispira alla vecchia triade della reazione “Dio, Patria e Famiglia” e che mira a ridisegnare l’assetto della società, a partire dalla famiglia e dal rapporto tra i generi, in senso gerarchico-autoritario. Un disegno restauratore contro cui una nuova generazione, di giovani e giovanissimi/e, è però già scesa in campo, determinata a scongiurare ogni pericoloso salto nel buio e il ritorno dell’oscurantismo.

Source: www.irpinia24.it