Giornata della Memoria – Ricordare significa rispetto
A distanza di 77 anni dall'apertura dei cancelli di Auschwitz, il mondo si ferma ancora per rimembrare l'Olocausto
Avellino – “ Entrare ad Auschwitz non è mai facile. Anche se sono passati 70 anni. Quando vedo da lontano la torretta, mi succede ogni volta, comincio a stare male. Ma vengo lo stesso ogni anno. Per non dimenticare. Poi, quando la visita finisce, ricomincio a respirare. E io posso tornare alla mia vita “ – questa è la testimonianza di Andra Bucci, una delle poche persone sopravissute all’Olocausto, ripresa in un vecchio articolo del Corriere della Sera -.
Una donna che ha visto con i propri occhi l’orrore, il male … quello vero, che non dimora all’interno dell’entità chiamata dalla Chiesa Demonio, bensì nell’uomo. Più di 6000000 di persone, per lo più donne e bambini, trucidati dalla calamità del Nazismo perché nati ebrei. A distanza di 77 anni, il mondo continua a fermarsi ogni 27 Gennaio per ricordare la liberazione dei cancelli di Auschwitz a cura dell’esercito sovietico. Ciò che quei militari hanno visto non può essere raccontato. L’orrore e la cattiveria è stata di un livello disumano. Primo Levi, nel suo celebre libro “ Se questo è un uomo “ ha provato a farlo. Con parole toccanti, le quali giungono dritte al cuore delle persone che man mano voltavano le pagine della sua letteratura. “ Medidate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa, andando per via, coricandovi, alzandovi; ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la cala, la malattia vi impedisca “
Un monito a non dimenticare. E infatti nessuno lo ha fatto. Chi lo ha vissuto non può riuscirici. Forse non avrà più dormito una notte della sua vita post-guerra. D’altronde come sarebbe stato possibile? Non si esce dall’Inferno senza portarsi dietro degli straschichi enormi.
Il male che aveva quasi conquistato il mondo è stato sconfitto e debellato al giorno d’oggi, ma quella porta con la macabra scritta “ Arbeit macht frei “ resterà per sempre una ferita aperta. Probabilmente l’atmosfera che vige in quel luogo è tutt’ora suggestiva, i lamenti delle persone che hanno sofferto sono ancora percepibili a chi spegne le orecchie e comincia ad ascoltare con il cuore, quelle rotaie che cigolavano al momento dell’arrivo dell’ennesimo treno, ricco di altri prigionieri. Tutto l’orrore finito, ma non cancellato. Una macchia, oggi non resta che una macchia. Una macchia indelebile, che certifica quando noi uomini possiamo farci del male a vicenda. Il 27 Gennaio deve essere ricordato ma anche compreso. Non solo come ricordo dell’Olocausto, ma come un monito ad essere buoni, solidali e fraterni verso il prossimo.
Agendo in questo modo, troveremo finalmente la risposta all’interrogativo che per un’intera vita si è posto Primo Levi … “ ditemi, se questo è uomo “.
di Michael Mambri