Montoro – L’architetto Petraccaro sull’area per gli insediamenti produttivi

"Riflessione in merito alla fraz.ne di Torchiati e Chiusa di Montoro"

FOTO (1)Montoro - ”Io penso che aldilà delle strumentalizzazioni politiche e partitiche il Piano degli Insediamenti Produttivi alla fraz.ne di Torchiati e Chiusa di Montoro merita una riflessione. Per vari motivi sono stato costretto ad occuparmi dell’Area Industriale a confine della Zona Consortile del Comune di Solofra a valle del depuratore con le opere infrastrutturali ormai in fase avanzata. Devo premettere che non voglio entrare nel merito della opportunità di programmare un’Area Industriale per accogliere Industrie di grandi dimensioni all’ interno di un “territorio vallivo” che già di per sé mostra la sua complessità.  Complessità derivante non solo da scelte operate mezzo secolo fa che hanno visto nella “industrializzazione” l’unica strada per lo sviluppo e occupazione ma soprattutto dalla condizione geomorfologica del sito, coinvolto nelle ultime manovre urbanistiche.  Va detto che in realtà non sempre le scelte sono state fatte in linea con gli elementari principi di buon Governo, e i risultati ormai sono già sotto gli occhi di tutti.  Stiamo parlando di un territorio quello Montorese che si stava a piccoli passi negli anni 90 del secolo scorso avviando su di un percorso di “riqualificazione ambientale” puntando sull’utilizzo delle risorse disponibili e programmando interventi compatibili con il contesto già fortemente antropizzato, avviando il recupero e catalogazione del Patrimonio Architettonico e Storico disponibile e che all’ improvviso ha scelto la “vocazione industriale” per il suo futuro. Nel merito non posso non evidenziare come questa scelta in maniera del tutto anomala e in controtendenza rispetto a tutto quanto viene detto e scritto sullo “sviluppo compatibile”, tema peraltro affrontato con la prima stesura del PIP che prevedeva piccoli insediamenti artigianali, trasforma in “Zona Industriale” l’unica Zona Produttiva dal punto di vista agricolo del territorio Comunale. Tutto ciò lo si può facilmente leggere mettendo a confronto la vecchia mappa aerea con l’attuale stato dei luoghi. Bisogna anche valutare lo stato dei residenti per lo più occupati nel settore agricolo, che riuscivano grazie a particolari coltivazioni come la nocciola e altre produzioni stagionali a recuperare un reddito di tutto rispetto per oltre 150 abitanti (circa 45 famiglia).
E’ evidente però che questo tema non può essere affrontato esclusivamente sul piano della produttività perchè, stiamo parlando di un’Area Industriale che coinvolge in un “abbraccio mortale” il già martoriato Torrente Solofrana, occupa l’intera “zona fertile” e produttiva della piana, scavalca il Torrente e va ad incunearsi nella collina che la sovrasta già segnata da interventi traumatici trascinando con sé flora e fauna.
Detto ciò, la prima domanda a cui bisognerebbe dare una risposta è quale valutazione è stata fatta dal Governo del Territorio per consentire questo “aborto urbanistico” irreversibile? Ebbene analizzando i vari aspetti ci si rende subito conto che una scelta di questo tipo non può essere ideata dalla sola politica del territorio ma programmata e progettata da figure professionali diverse capaci di trovare una sintesi in un percorso interdisciplinare. Quali sono state le figure coinvolte?  Che non vi sia stato un approccio di questo tipo al problema è dimostrato dai fatti oltre che dagli atti.  A questo punto mi chiedo se la natura del sito, parzialmente acclivato ed a tratti, come in prossimità del Torrente Solofrana con “acclività innaturali” causate dell’erosione e che ha portato quasi una “estemporanea” formazione dei Lotti con un ulteriore stravolgimento dell’area, è stato valutato.  Emerge infatti la totale assenza di qualsiasi valutazione tecnica sulla natura del luogo ed è difficile immaginare gli aspetti negativi che ciò arrecherà al sito in esame, che come già detto si trova già a fare i conti con una realtà compromessa dal punto di vista ambientale. Gianluigi Colin ha detto che il luogo, la città è figlia dell’economia che produce: ciò che è stato prodotto ad oggi lo sappiamo, quando sarà completato il Piano Industriale non si sa. Sembra del tutto scontato che i “Lotti” in un Area Industriale dovevano rientrare in una visione di insieme “poggiata sulla griglia infrastrutturale” rappresentata dalle strade, sottoservizi e centro servizi per assicurare la normale gestione e funzionalità dell’Area Industriale ma soprattutto per garantire la sicurezza. La eventuale fusione dei Lotti in un quadro siffatto non avrebbe comportato nessun problema per quelli residui ma a quanto pare le cose sono andate diversamente.  Probabilmente avendo la disponibilità di un’area più adeguata dal punto di vista geomorfologico le cose potevano avere un risvolto positivo, perché no, anche dando un contributo positivo all’ intero territorio. Il tema è proprio questo, lo stravolgimento dell’area generato dall’ assenza di una pianificazione esecutiva di base non consente di valutare tutti gli effetti di carattere ambientale, paesaggistico per le interferenze sull’ ecosistema a cui i privati avrebbero potuto fare riferimento per impiantare le proprie strutture industriali. Nella realtà si sta procedendo a ritroso con grave pregiudizio per la fruizione, durabilità e sicurezza delle infrastrutture, ma anche per gli edifici rurali preesistenti, al suo intorno dove già in parte risulta compromessa l’accessibilità.  Senza dire che una eventuale riconversione e/o rifunzionalizzazione comporterà ulteriore danni all’economia agricola, ma soprattutto al luogo perché non c’è nulla che possa tenere insieme tutto ciò, possiamo solo immaginare uno sviluppo parziale dell’intera area e di una nascita di un “non luogo”. L’ aspetto ancora più inquietante e che l’aver affrontato il tema in questo modo porterà in crisi proprio il sistema infrastrutturale, con conseguenze gravissime anche sui costi gestionali che purtroppo graveranno sulla comunità non certo sulle aziende essendo le infrastrutture che si andranno a realizzare di interesse pubblico. Infatti come è possibile verificare dai progetti le opere infrastrutturali di base come le strade di accesso a causa della tipologia del sito risultano localizzate a ridosso del Torrente Solofrana. Questo aspetto oltre alle problematiche strutturali crea un’altra “frattura” territoriale a 10 metri dal Torrente in un’area che certamente non può dirsi tranquilla anche dal punto di vista idraulico. Mettendo da parte queste considerazioni prettamente tecniche resta il dato più significativo: è che le scelte operate hanno comportato un intervento invasivo, cambiato la morfologia del luogo trasformando una valle verde con la sua produttività agricola, e case sparse in una sorta “piattaforma logistica”. Non credo che un territorio come quello Montorese meritava tutto ciò e siamo solo all’inizio.
Certamente qualcuno obietterà che questo è il prezzo da pagare per il progresso probabilmente ignorando che il progresso è un’altra cosa ed è benedetto quando si muove nel rispetto dell’ambiente, del contesto naturale e costruito oltre che della comunità residente. C’è da chiedersi dove era il Governo del Territorio quando ha abdicato ogni scelta a persone terze, dove nessuno ha elementi di controllo e verifica?  Un’Area Industriale realizzata con questi presupposti è destinata a far emergere criticità da subito ed è evidente che sulle infrastrutture che saranno necessariamente utilizzate anche dai residenti non sono da sottovalutare anzi ebbene che qualcuno intervenga su questo visto il totale disprezzo per il contesto. Circostanza evidenziata anche dalla decisione per il totale sradicamento degli alberi di ciliegio, di noci, di ulivo, di noccioli, di querce, di pioppi, di betulle, ecc.. piante che in presenza di una attenta pianificazione, non solo avrebbero contribuito da sole alla salvaguardia dell’area e delle infrastrutture anche dal punto di vista idrogeologico ma soprattutto avrebbero contribuito a non realizzare un angolo di suolo “lunare” dove impiantare le aziende.  Spazio “lunare” riempito da capannoni dove bisognerà aspettare decenni per rivedere forse un po’ di verde puntiforme. Ci siamo giocati tutto perché, il cervello degli alberi sono le loro radici e queste sono state estirpate insieme alle forme modellate dalla stessa natura.  Detto ciò per rendere ancora più interessante la vicenda dico che stiamo discutendo di un sito in area vincolata ai sensi della Legge 431 del 8 agosto 1985 (cosidetta Legge Galasso) e sottoposta alle disposizioni contenuti nelle parti terza e quarta del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio D. Leg. vo 42/2004 art. 142 comma 1 lett. e, in quanto rientrano nella fascia dei 150 mt. dal Torrente Solofrana, e senza dire che il Progetto Esecutivo del Piano degli Insediamenti Produttivi non risulta approvato per quanto di competenza da nessuna dalle Autorità preposte alla tutela e vigilanza. Devo ancora prendere atto che mentre sono in corso le Opere Infrastrutturali i residenti non risultano allontanati dal sito, malgrado queste ultime risultano incomplete è sono tali da non garantire la sicurezza. C’è da augurarsi che da eventuali accertamenti in sito, ci possa essere un ravvedimento “operoso” che metta al primo posto il progetto che tenga in buon conto la natura del sito, il bacino ibrifero originario, la vegetazione autoctona e che sia in grado di “raccordare” e/o “mediare” in maniera adeguata l’originario stato dei luoghi (di cui è possibile prendere atto al contorno dell’ormai Area Industriale) e quello post-operam. Mediazione che dovrà “saldare” in maniera organica l’area di progetto con la zona agricola che non può in nessun modo diventare “marginale”. Purtroppo devo prendere atto relativamente alle “infrastrutture” che quanto si vede è altra cosa rispetto a quanto è stato rappresentato nel progetto.  Per concludere non posso che richiamare la centralità del progetto sempre che lo stesso parte dalla vera natura del luogo, dall’ attenta lettura degli antefatti dell’azione umana, dove fino a ieri è stato sempre possibile leggere la continuità tra naturale e costruito. Sinceramente non si comprende come mai le Aree Industriali del Sud sono ghettizzate, inguardabili e malsane mentre nel Centro e nel Nord dell’Italia somigliano a vere e proprie zone residenziali. Non credo sia questione di “paralleli” piuttosto di Governo del Territorio, accompagnato da Imprenditori lungimiranti, rispettosi dei contesti e dell’ambiente. Purtroppo da noi il bello viene cercato e trovato nel kicht perché non si osserva, non si collabora con la natura ma per cercare visibilità si violenta e ci si scontra con essa. Siamo capaci di rovinare il paesaggio con finti castelli o casali mentre quelli veri cadono, lì lasciamo cadere a pezzi.
Per fortuna ci sono esempi che certamente non vanno copiati ma certamente imitati per come si pongono nel rapporto con la natura con il paesaggio come le Cantine Antinori nel Chianti. Anche lì, il progetto è improntato all’estrema razionalità però il progettista si è confrontato con la natura, con la memoria, con il luogo realizzando il paradiso sulla terra. In un momento come questo che dovrebbe essere caratterizzato da progettualità e comportamenti improntati alla razionalità vengono gestite le cose con estrema “estemporaneità” ignorando che le scelte fatte decidono le sorti del Territorio per i prossimi 100 anni. Trovo discutibile ma è la mia opinione che, in occasione come quella del Piano degli Insediamenti Produttivi, che a tutti gli effetti rappresenta l’unica “manovra” urbanistica” possibile in una realtà che vive una fase di post-industriale, capace ancora di generare crescita sociale ed economica che va oltre il commercio del territorio grazie alla sua fattibilità per l’intervento dei privati, venga sciupato per la mancanza di pianificazione; La non conoscenza della valenza territoriale del sito; La non conoscenza della valenza storica del sito; Il mancato approccio sulla valenza ambientale arricchita da flora e fauna; La superficialità nell’individuazione del sito caratterizzato da una geomorfologia complessa; La poca conoscenza delle dinamiche territoriali e localizzazione del sito; La poca attenzione all’ economia del luogo, ecc…..
Ancora più assurdo è che alla base di scelte così importanti che ormai hanno deciso la vocazione irreversibile del territorio non c’è stata una discussione, un dibattito, la presentazione alla comunità di un progetto. Come sia stato possibile approvare Progetti Esecutivi senza piano Particolareggiato Esecutivo. E’ evidente che bisogna prendere le distanze di fronte a tanta superficialità che può mettere in crisi non solo il territorio ma anche l’intero programma, vista la complessività dell’area mi sento “disarmato”. Resta il fatto che nel bene o nel male è un’occasione perduta per il paesaggio, per l’architettura industriale e per la valenza economica e territoriale che una scelta adeguata avrebbe comportato. Concludo davvero invitando a tutti gli attori di questa “operazione urbanistica” a rileggere l’Odissea che rappresenta in assoluto il “racconto” più alto del rapporto dell’uomo con la natura. Ci fa capire il rapporto tra le “cose” e che non siamo mai soli nel mondo perché ci dobbiamo confrontare con gli antefatti naturali o costruiti che siano. Perché tutto questo dobbiamo vederlo interpretato in maniera egregia altrove e mai nel nostro territorio?” La nota dell’Arch. Carmine Petraccaro

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