Tra primati e questione meridionale: quando il Mezzogiorno era il Regno delle due Sicilie

Primati, genocidio, vittime e carnefici: la storia racconta e ai posteri l'ardua sentenza

picL’identità storica e culturale del nostro Mezzogiorno esige, talvolta, di essere celebrata, riabilitata, probabilmente, rispetto alle umiliazioni e ai soprusi storicamente attestati e, purtroppo, ancora oggi tristemente vigenti. Memoria, orgoglio, riscatto: queste le parole chiave che esprimono il senso e lo spirito del Meridionalismo autentico, che vuole dar voce alla “terra che parla” di una storia di antichi primati, ma anche di vittime e di carnefici. Perché l’Italia possa considerarsi “Paese” è necessario che trovi nella verità il momento della compassione, della condivisione e dell’incontro ed è da lontano che deve partire per appropriarsi del proprio passato e del proprio presente. Da quel Regno delle Due Sicilie che, durante il dominio borbonico, visse un capitolo fondamentale della propria esperienza, imponendosi come il più ricco degli stati preunitari e di gran lunga il più esteso e industrializzato d’Europa, e riducendosi, dopo l’invasione piemontese, a colonia interna, serbatoio di uomini e risorse a basso prezzo.

Il Regno borbonico vantava quattro università e il maggior numero di studenti universitari; la più alta percentuale di pubblicazioni in Italia; il carico fiscale più basso d’Europa; l’istituzione dell’assistenza sanitaria per anziani e disabili; la più bassa percentuale di mortalità infantile; l’istituzione di collegi militari, alcuni dei quali, tra cui la Nunziatella, attivi ancora oggi; l’edificazione in soli 270 giorni a Napoli del Teatro di San Carlo, il più antico teatro d’opera tutt’ora attivo in Europa; la prima ferrovia e la prima stazione d’Italia, quella del tratto Napoli-Portici; il primo istituto italiano per sordomuti; il primo ponte sospeso in ferro dell’Europa continentale; il primo albergo dei poveri, che accolse 8.000 tra indigenti e diseredati, debellando la piaga dell’accattonaggio. Il Regno delle Due Sicilie era, insomma, il primo Stato italiano per ricchezza; tutt’altro che arretrato e tirannico come molta storiografia ha largamente diffuso per mezzo di menzogne divenute ufficiali, riusciva a coniugare il benessere dello Stato con il benessere dei cittadini. La conquista piemontese e la conseguente Unità d’Italia ne causarono il crollo repentino, al punto tale che, dopo il 1860, la popolazione smise di crescere e, col fenomeno del brigantaggio e la tragedia del  genocidio, insabbiata e non riconosciuta, si ridusse di centinaia di migliaia di persone in un solo anno.

Il genocidio dei meridionali è stato il primo di una tragica catena successiva; e quel genocidio ce lo portiamo dentro anche se non lo sappiamo, perché siamo figli di quei carnefici e di quelle vittime. Ma il figlio nato da uno stupro non può essere mortificato dal dolore della madre e dalla colpa del padre, deve conoscere la verità perché gli sia possibile liberarsi da quel mostro e l’Italia, che ancora si ostina a nascondersi nell’oblio, è ben lontana dal riconoscere quella storia e dal riconoscersi come Paese. Da qui il senso profondo di quella “separatezza” che rende soffocante l’ancora attuale dittatura settentrionale. In alcuni Paesi vige il costume di accogliere insieme, presso i propri cimiteri, le sepolture di combattenti di schieramenti avversi e di celebrarli insieme nei libri di storia in quanto eroi. In Italia, invece, “un altro grado di civiltà” e la totale mancanza di un orgoglio patriottico non impediscono di perseverare nella discriminazione e nell’emarginazione in quanto, anche da morti, i combattenti del Nord non sono mischiati con i ribelli del Sud, perché non si mischino neanche i loro vermi.

Perché la storia abbia il suo lieto fine, siano i giovani i potenziali eroi dei giorni nostri e del nostro avvenire. La fortuna di sapere è l’unico potere di cui possano far tesoro e dà loro anche la grande responsabilità di dover operare per cambiare le cose, con la ferma consapevolezza che omettere è un peccato e che chi omette è un delinquente e con l’obiettivo, non di punire i colpevoli, non di salvare le vittime, ma di salvare i discendenti di entrambi. 

 

Eleonora Fattorello

 

Source: www.irpinia24.it